Una panoramica sull’evoluzione della tragedia in Palestina e dei suoi effetti.

Di Silvia Sorrentino*

Quanto è accaduto il 7 ottobre 2023 ha segnato un momento storico fin troppo importante per la nostra epoca; oggi, a poco più di un anno da quella data, la situazione non fa altro che peggiorare. Secondo le fonti ufficiali, infatti, sono più di quarantunomila le vittime palestinesi dei raid delle forze occupanti, di cui almeno quindicimila sono bambine e bambini; questi ultimi arrivano a ventunomila se si contano anche coloro che sono dispersi, sepolti sotto le macerie o detenuti dai servizi militari israeliani.

Il numero di persone ferite che necessitano di cure mediche è ancora più alto, e molte continueranno ad averne bisogno nel medio e lungo termine. La stragrande maggioranza della popolazione sopravvissuta a Gaza, inoltre, vive unicamente grazie agli aiuti umanitari, i quali, anch’essi, scarseggiano. Sono diversi, infatti, gli Stati che hanno interrotto i finanziamenti all’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite adibita all’aiuto dei profughi palestinesi, tra cui figurano gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Germania, insieme ad una buona fetta dell’Occidente, costringendo la popolazione di Gaza ad uno stato di fame, terrore e povertà senza precedenti.

Non è un caso che i Paesi che hanno interrotto i finanziamenti per Gaza abbiano, al contempo, continuato a supportare militarmente l’esercito israeliano, nonostante le prove schiaccianti che lo vedono colpevole di gravissimi crimini di guerra. Tanto di cappello, però, va a quegli Stati che, pur essendo occidentali, non hanno interrotto i propri aiuti umanitari, tra cui figura l’Irlanda, che ricorda la propria resistenza contro le forze occupanti inglesi. Quel valore della resistenza che l’Italia, invece, sembra dimenticare giorno dopo giorno.

La situazione in Italia, infatti, non sembra essere favorevole alla libera espressione in materia, trovandosi all’interno di un clima di censura generale, che vede un largo impiego di mezzi violenti da parte delle forze dell’ordine durante le proteste contro il supporto italiano al genocidio. Quest’ultimo ci ricorda, o dovrebbe ricordarci, di un tempo, neanche troppo lontano, nel quale il governo italiano si è già macchiato di questa colpa. Tempo che ora sembra spaventosamente vicino, tra il “DDL Sicurezza”, già approvato dalla Camera dei Deputati, e le purghe e la censura in RAI. A questo proposito è particolarmente rilevante citare il ruolo del discorso mediatico nell’influenzare la popolazione verso il supporto ad Israele, e che tenta disperatamente di giustificare un genocidio che è ormai sotto gli occhi di tutte e tutti.

Con il coinvolgimento del Libano e dell’Iran, inoltre, quella che è nata come un’occupazione militare di Gaza è divenuta, al contempo, un conflitto internazionale, il quale non sembra volersi arrestare a breve, e che testimonia solennemente il fallimento delle promesse del diritto internazionale.
Dal punto di vista storico, ci sono due elementi fondamentali che rendono questo conflitto innovativo nella scena mondiale, tra cui l’uso dell’intelligenza artificiale come strumento militare da parte di Israele: è tramite il sistema Lavender, infatti, che l’IDF identifica gli obiettivi target a cui mirare.

Lavender utilizza una grande mole di dati incrociati e agisce con minima supervisione umana, causando un numero altissimo di “vittime collaterali”, spesso bambine e bambini. È divenuta tristemente nota, ad esempio, la storia di Aysal e Aser, la coppia di gemelli uccisi da una bomba a quattro giorni di vita, mentre il padre era in procinto di ritirare il loro certificato di nascita. Il secondo elemento particolarmente innovativo, nonostante sia già stato utilizzato come giustificazione di alcune occupazioni nel sud-ovest asiatico (si veda, ad esempio, l’occupazione statunitense dell’Iraq), risiede nel purplewashing. Con purplewashing (dall’inglese purple, viola, e washing, lavaggio) si intende l’utilizzo settario che si fa del femminismo per difendere discorsi o politiche xenofobe. È questo il caso che ha interessato diversi governi mondiali, i quali non hanno esitato nel descrivere la Palestina come un luogo in cui i diritti delle donne vengono calpestati, per giustificare il sostegno al “civilissimo” stato d’Israele.

È la stampa, infatti, la principale alleata di Israele nel genocidio, ed è proprio della libertà di stampa che tutte e tutti noi dobbiamo riappropriarci.

*Esperta di Storia del Medioriente contemporaneo , particolarmente interessata agli studi post coloniali. Ricercatrice del Centro Europeo di studi sul Medio oriente di Lipsia.

 

Ph : Pixabay senza royalty

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