Il sacerdote non è solo il rappresentante di una comunità nelle sue relazioni con le potenze divine, ma può essere anche il rappresentante di queste potenze di fronte alla comunità stessa. Nella storia vediamo che il sacerdozio è stato un’istituzione a sé. Divenuta un sistema.
E molte volte la dignità di capo di famiglia o di capo della tribù si fonde con quella di sacerdote, sicché, in senso fenomenologico, si può asserire, sebbene non si possa provare storicamente, che il primo sacerdote sia stato il padre di famiglia, la prima sacerdotessa, la madre. Per comprendere il sistema sacerdotale occorre considerare tre elementi: Potere, Forza, Autorità. Perché la carica sacerdotale trova la sua base nel possesso della “potenza”.
Il concetto di potere ha conosciuto molti tentativi di definizione, tra i più incisivi vi è quello di Weber (1922) che lo definisce come possibilità di affermare la propria volontà in una relazione sociale, anche di fronte ad un’opposizione. La potenza distingue il proprio rappresentante dagli altri membri della comunità, conferendogli un valore superiore a quello che ha come individuo.
Il sociologo politico Parsons (1969), parla invece di capacità di mobilitare le proprie risorse in vista di determinati obiettivi. Nel primo caso l’accento è posto sulla relazione e sull’imposizione di volontà; nel secondo caso sulla capacità organizzativa. E la forza è un concetto più ristretto rispetto al potere, riguarda l’uso della coercizione fisica per imporre la propria volontà agli altri. Il sacerdozio come istituto ha la sua origine nella fede nella potenza divina, e così si esprime con autorità.
L’autorità, infine, è una forma di potere istituzionalizzato e socialmente legittimato, ciò presuppone, generalmente, che chi esercita il potere lo faccia per conseguire scopi collettivi. Qui abbiamo l’autorità carismatica. L’autorità carismatica, fondata sulla devozione e la fede a persone dotate di qualità superiori e di uno straordinario ascendente sugli altri. L’obbedienza, in tal caso, tende ad essere personale ed incondizionata.
Oggi, possiamo dire che abbiamo una classe sacerdotale evoluta, distinta per decise caratteristiche. Sempre abbiamo una struttura narrativa che soggiace all’ordine e al modo in cui viene presentata una narrazione a un lettore, un ascoltatore o uno spettatore. È uno schema narrativo culturale totalizzante o globale che ordina e spiega la conoscenza e l’esperienza, con un linguaggio “tecnico”. I cristiani, per esempio, interpretano tutta la realtà e la loro vita nel quadro della struttura sociale che era gerarchica e piramidale. Con una rigida disciplina morale e il culto del segreto protetto da un’organizzazione strutturata in cerchi concentrici.
Su questa base, è possibile operare una gerarchizzazione in funzione degli aspetti dissimulati, ripartendo in seguito questi aspetti su una piramide a molti livelli, partendo dalla base inferiore (visibile) al vertice (invisibile). Cristiani, comunisti e “freudisti” (cioè quelli che abitano nel freudismo), hanno interpretano tutta la realtà nel quadro di questa prospettiva. La gerarchizzazione è uno dei principali ingredienti del generale processo del senso.
Sappiamo che l’età moderna è stata caratterizzata dalla presenza di grandi narratori. Narratore è l’alto esponente della classe sacerdotale, ma anche depositario della cultura, e aspetta in una specie di ghetto sacro (Absite injuria verbis).
“La grande narrazione ha perso credibilità, indipendentemente dalle modalità di unificazione che le vengono attribuite: sia che si tratti di racconto speculativo, sia di racconto emancipativo”, scriveva Lyotard. E continua: «I “metaracconti” di cui si parla nella Condizione postmoderna sono quelli che hanno lasciato il loro segno sulla modernità: emancipazione progressiva della ragione e della libertà; emancipazione progressiva o catastrofica del lavoro […]; arricchimento dell’umanità nel suo complesso ad opera dei progressi della tecnoscienza capitalistica; infine, se nella modernità si comprende lo stesso cristianesimo […], salvezza delle creature attraverso la conversione delle anime al racconto cristico dell’amore martire».
Le narrazioni esprimono la fiducia, cioè, un ordine imposto, (la prima fase) e poi esprimono un ordine incorporato (la seconda fase). Hanno sempre un positivo senso organico e comunitario, ma anche un rispetto ad un’autorità sovrastante e un processo di uniformazione.
Il mio pensiero deve essere considerato sotto l’aspetto di sistema delle narrazioni. Come la parola “Dio” non è per l’ermeneutica narrazione cristiana solo un “signum” di un’altra cosa, ma una “praesentia rei”, così i rapporti di produzione per il comunismo e l’inconscio per il freudismo sono una “praesentia rei” delle cose e dell’uomo.
La narrazione è fondata sull’idea dell’Ordine cosmico (la morale, secondo il Cristianesimo, i rapporti di produzione secondo il comunismo, l’inconscio secondo il freudismo). Questo è il peccato originale, e diventa la lotta e il dono del libero arbitrio, come principio della verità, della bellezza e della moralità. Diventano un sistema totale di conoscenze, identico all’autocoscienza dello Spirito Assoluto.
É la prima necessità comportata da una visione del mondo che cerca l’emancipazione umana, o possiamo dire una sorta di evoluzione della gnosi in un senso teologico. Se secondo Lyotard, nessuna reale comprensione del mondo e di noi stessi può mai accadere senza una narrazione, anche se è altrettanto vero che tutte le narrazioni non possono ragionevolmente pretendere di esaurire l’infinita portata del mondo in cui esse accadono. Le narrazioni dei grandi sistemi ci spiegano le cose e l’uso che ne possiamo fare, in un’esperienza quantitativa utilitaria, ma non ci fa sentire il valore e il senso delle cose che usiamo, per noi e per gli altri. Però, oggi possiamo dire addio alle grandi narrazioni.
Apostolos Apostolou. Scrittore e Prof. di Filosofia