di Brunello Pezza

Caldo e sudore, corpi e colori, insetti e odori, cani e uccelli, urla e clacson, occhi e sorrisi: qui la vita è anarchica e fiorisce e appassisce dappertutto intorno a te, senza ostentazione ma anche senza farne mistero. Entropia origine della vita? Forse è nata qui!

Un miliardo di indiani, ventinove regioni, diciassette lingue e trecento dialetti, culture millenarie e tecnologie avanzate, natura devastata ma alla lunga sempre vincente (città sepolte nella giungla e livelli di smog impressionanti) è il riassunto della vita!
L’autista del nostro pulmino ha il pollice sinistro ipertrofico per quanto suona il clacson! Ma qui il clacson non ha un significato aggressivo e offensivo come da noi, qui è considerato il miglior modo per segnalare la propria presenza in un traffico assolutamente caotico e senza regole!

Quasi quattrocento km in pulmino attraverso periferie e campagne di una povertà sempre più profonda, vacche molto sacre ma anche molto abbandonate a se stesse, magre e sbilenche come il retaggio di una religione che non è più al passo con i tempi. O forse no?
Ora le vacche da mungere siamo noi turisti con i nostri euro che qui valgono ancora qualcosa e attiriamo l’attenzione e le “cure” della gente molto più dei poveri e malati bovini.

Tanti bambini, tanti quanti da noi non se ne vedono da tanto tempo, allegri per nulla e belli come solo i bambini poveri sanno essere. E tu non capirai mai se hanno scoperto il segreto della felicità che poi dimenticheranno crescendo o sono dei poveri illusi che a breve faranno un frontale con la vita.

I cani randagi insieme ai bambini e alle vacche sono i padroni delle strade, si prendono il loro tempo, attorno a loro, mescolati con loro, uomini e donne affaccendati nelle miserie quotidiane e sommersi da infinite battaglie.
Visitiamo improbabili templi moderni con effigi di divinità che sembrano personaggi dei cartoni animati, i Simpson non sfigurerebbero affatto in questa sfilata di santi e divinità.
L’inadeguatezza di questa religione indù mi colpisce molto. Sembra una favoletta incollata in modo improbabile sulla vita di questa gente. Ma… è proprio cosi? La stessa cosa si vede spesso da noi. E forse non tutto è cosi come sembra all’inizio. Dove impareranno le donne indiane a muoversi tutte in modo cosi flessuoso e sensuale? Non scoprono un cm2 del loro corpo eppure lanciano frecce molto precise e appuntite con un semplice passo o gesto del braccio. Ho visto due ragazze portare in testa bacinelle di terra e cemento per dei lavori ma avevano il passo di due indossatrici, e senza tacchi!

Quante cose sanno in più di noi questi indiani? Sarà per questo che ridono sempre quando ci guardano?

Oggi è la festa della nascita del Dio Scimmia, che pare sia un Dio molto importante qui. Siamo stati coinvolti in una festa di paese con musica ossessiva e danze tribali cui hanno partecipato le donne del gruppo. Il tutto sempre condito dalla ossessiva cantilena della richiesta di soldi che, almeno per quanto mi riguarda, fa sparire di colpo ogni fascino dello spettacolo.

E’ come se questa richiesta economica, che sottolinea in modo assoluto ogni rapporto tra noi e loro, fosse la “conditio sine qua non”, l’elemento determinante di ogni tipo di rapporto che ci possa essere tra noi turisti e gli indigeni.

Ovviamente marca la cosa in modo negativo, falsante. I sorrisi, la gentilezza, la disponibilità hanno tutte un prezzo: tu inserisci la moneta e scatta lo show, e contemporaneamente i tuoi sensi di colpa dovuti all’appartenere senza merito alla élite del mondo vanno a mille! Questa sensazione non me la toglierà mai nessuno, è la stessa di quando da piccolo andavo al circo e dietro i sorrisi dipinti sul volto dei clown vedevo la faccia stanca di chi lavora e non vede l’ora di riposare a fine spettacolo e senza cerone. Queste due classi sono sempre esistite e parleranno sempre tra loro con grande difficoltà.

A Pushkar visitiamo il lago sacro (dove sono state disperse le ceneri di Ghandi) e il tempio del dio Brahma, la divinità più importante dell’induismo e il tempio più famoso per questi fedeli. Un po’ come San Pietro per i cattolici e La Mecca per i musulmani.

E’ tutto a colori intensi, nulla e nessuno vuole passare inosservato. All’ingresso della cappella principale c’è una campana e tutti i fedeli che vanno a salutare la divinità la suonano per attirare l’attenzione del dio su se stessi.

E’ significativo questo passaggio, in un posto dove il valore del singolo essere umano sembra ridotto a poco più che zero: quest’ultimo pretende attenzione dal suo dio quando va a visitarlo. Credo che in qualche modo si ricolleghi alla necessità di vestirsi sempre in modo vivace e appariscente. Un modo per dire “io sono qui”! E non voglio essere anonimo, il mio rintocco di campana è diverso dagli altri e il mio dio lo riconosce fra tutti.

Io non ho suonato la campana… Mi sembrava eccessivo, e poi non volevo distogliere l’attenzione del dio dai suoi fedeli…
Mi sono antipatiche queste vacche, sono una presenza ingombrante, massiva, abusano della loro presunta sacralità e invadono qualsiasi spazio; è impossibile limitarle in qualsiasi modo. Viene facile pensare che se gli indiani si mangiassero il 50% dei bovini che affollano le strade di città paesi e campagne avrebbero risolto in una sola volta la vistosa denutrizione proteica che li affligge e contemporaneamente avrebbero ottenuto un importante miglioramento del livello di igiene. E’ impressionante vedere le vacche pascolare sulla spazzatura come da noi fanno i cani e i gatti randagi o le “zoccole” di città! Sì, ho detto zoccole perché mi torna in mente il film “scugnizzi” di Nanni Loy nel quale c’è una bellissima canzone ed una splendida coreografia dedicata a questo tema: l’onnipresenza delle zoccole nei vicoli napoletani e il collegamento con le vacche sacre indiane è pressoché immediato! Una realtà che viene subita dalla gente…

Mi sono sempre chiesto quale fosse il senso della particolare intensità che chi ha vissuto in Africa da’ a questa sua esperienza. Sono in India per troppi pochi giorni per poter pretendere di fare un parallelo e fra l’altro la mia esperienza africana è pressoché uguale a zero ma credo che il minimo comun denominatore sia nel significato di una parola: intensità! Qui tutto è a un livello di intensità superiore a quella dei nostri giorni standard, ma è necessario chiedersi quanto questa intensità sia una nostra sensazione, legata alla novità e diversità degli stimoli che percepiamo e quanto sia sostanzialmente presente nelle cose, insita nello stile di vita del posto.

La sensazione che ho è che noi occidentali cerchiamo l’intensità di uno stimolo con un processo sostanzialmente quantitativo: aumentiamo la quantità dello stimolo per averne un effetto più forte. Qui si gioca di più sulla diversità ed originalità degli stimoli che sulla intensità. E non e’ una piccola differenza… Si tratta di quantità e qualità! Chissà se il Dio Brahma lo sa? Il nostro Gesù ce lo aveva detto ma noi lo abbiamo dimenticato!

To be continued…

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