Jaipur è una grande città, e presenta quindi aspetti “europei”: abbiamo incontrato i lavori della Metro, donne vestite alla occidentale insieme a quelle vestite in modo tradizionale. Ma bastava stare un po’ più attenti per scovare aspetti diversi: ho visto una intera famiglia accampata su un marciapiede secondario sotto pochi teli usati come tende. La coppia era molto giovane e bella e attorno a loro razzolavano a terra almeno due figli piccolissimi. I due litigavano in modo evidente, o meglio, erano nel pieno di una schermaglia amorosa con lei che minacciava lui e lui che rispondeva sorridendo e la rassicurava. Il tutto seduti per terra in mezzo alla strada in un mare di sporcizia… insomma tanto per fare una citazione “gruppo di famiglia in un esterno”, sotto gli occhi di tutti e con una povertà devastante… ma forse era cosi solo ai miei occhi…
Abbiamo visitato un castello indiano: fort Amber, di una bellezza incredibile. Sede di antichi maharaja e poi dei plenipotenziari inglesi. Siamo saliti sulla groppa di cinque pazienti elefanti che ci hanno portato per circa un km lungo la salita che porta al cortile centrale e poi abbiamo girato a piedi per le infinite ed intricate viuzze del forte che all’improvviso si aprivano in immensi cortili assolati. Tra questi quello dedicato alle 12 mogli ufficiali del maharaja e ai loro rispettivi appartamenti.
Il tempio della dea Kalì, molto venerata e rispettata, è affollatissimo di persone: si capisce subito che è una divinità importante che sa minacciare ed incutere rispetto. Anche qui domina la famosa campanella e tutti si affollano a farla rintoccare… Anche qui si entra scalzi, senza neanche i calzini. In india si capisce subito che questa storia dell’entrare scalzi nei luoghi sacri non ha assolutamente nulla a che vedere con l’igiene: infatti non c’è nulla di igienico a camminare scalzi su pavimenti o selciati o terreno sporchi di qualsiasi cosa. E’ solo una forma di rispetto, quasi di autoumiliazione di fronte al dio, un po’ come da noi quelli che entrano nei santuari strisciando con la lingua per terra… Se gli indiani mi danno l’idea di saperne molto più di noi gli elefanti me la danno in misura ancora maggiore. Tranquilli e solenni hanno sopportato gli schiamazzi di una decina di europei che tra paure e tensioni gli salgono in groppa consci di essere in completa balia della loro “serafica calma”.
Dopo aver fatto sosta davanti a due altri palazzi molto belli abbiamo visitato una piccola fabbrica dove si lavorano pietre preziose con all’ingresso il solito artigiano che fa finta di lavorare non appena arriva il bus dei turisti.
Nel pomeriggio interessantissima visita al centro astronomico o osservatorio dove abbiamo visto la meridiana con la maggior precisione al mondo: indica l’ora in base all’ombra generata dal Sole con uno scarto di soli due secondi in qualunque periodo dell’anno! Davvero incredibile! Peccato che lo “strumento” non è agevole e trasportabile: è alto 27,7 metri e grande come un campo di calcetto! E ovviamente per poter sapere che ore sono devi farti una passeggiatina fino a li perché… la montagna non viene certo da Maometto.
La guida ci ha anche impartito una piccola lezione di vita sul sentirsi o essere giovani “dentro”; nulla di nuovo ma ben detto e al momento giusto. Ma la cosa che mi ha fatto riflettere di più è stata una riconsiderazione sulla reincarnazione, tema centrale della religione indù. Se noi cristiani parliamo di morte e resurrezione (non per niente oggi è Pasqua) gli induisti non conoscono proprio il termine “morte” per il semplice motivo che essi non credono nella morte ma nella “reincarnazione”. A me è sempre sembrata la spiegazione più logica della “immortalità”, quella che senza strane e improbabili proposizioni di inferni, purgatori e paradisi da’ un senso alla immortalità ma soprattutto alla possibilità di riscatto sempre e comunque presente anche se partendo da condizioni infime. Ovviamente non voglio nemmeno parlare di più o meno probabili prove scientifiche per il semplice motivo che non credo che esistano ma devo dire che mi piace molto questa idea del riscatto che passa attraverso le vite vissute su questa terra e in questo mondo… Ma forse sono più emozioni che fatti!
Ci sono diversi tipi di povertà; qui la povertà assomiglia a quella che attraverso le immagini d’epoca mi è giunta del nostro dopoguerra: una povertà in bianco e nero, molto profonda ma anche molto attiva, già protesa verso la ricostruzione e verso il futuro. Credo fosse questa tensione a rendere vivibili ed accettabili livelli così profondi di indigenza. Qui è lo stesso: la povertà è presente e profonda ma immersa in un intenso ritmo di attività, tutti hanno qualcosa da fare, tutti sono impegnati, anche se su diversi gradini, a tentare la scalata sociale, dal mendicante al padroncino di ciclorisciò.
Anche il mendicante non aspetta passivamente il passaggio del turista: se vuole superare gli altri e “sopravvivere” meglio deve corrergli incontro, quasi stordirlo con l’insistenza della richiesta fino a fargli ritenere più agevole elargire l’elemosina che resistere! E’ una povertà attiva, un popolo in fermento e, senza essere un economista né un esperto di sociologia economica, credo sia caratteristica di una società in sviluppo, in crescita e non di una società economicamente ferma come la nostra. Come dicevo ci sono diversi tipi di povertà… O forse si dovrebbe dire che la vera povertà è una sola e non ha una diretta corrispondenza con quante cose hai in casa ma con quante cose hai nel cuore! Vacche e bufali convivono in questa nazione grande come un continente ma sono due elementi molto diversi tra loro: se mi limitassi a dire che la vacca è sacra e il bufalo no uno si potrebbe pensare alle prime come felicemente libere e rispettate e ai secondi come poveri schiavi utilizzati per i lavori pesanti… ma la realtà parla in modo diverso: le vacche come ho già detto sono libere ma abbandonate, pascolano nella spazzatura e hanno un aspetto davvero pessimo; i bufali invece, che costituiscono la ricchezza dei loro padroni, sono tutti ben nutriti, hanno un aspetto ottimo e si tengono ben distanti dalla immondizia. Libertà non è per forza agiatezza e schiavitù non è per forza miseria; questa cosa mi fa venire in mente le nostre classi borghesi “omologate, omogeneizzate e globalizzate” dalle multinazionali perché si comportino in modo unico e prevedibile.
To be continued…
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