“La donna, fecondo strumento, è limite bello, centro all’unità della famiglia, e però della città. Chi la tratta come strumento di sola una cosa, cioè di piacere o di dominio o d’utile, la deturpa, e deturpa la specie.” Niccolò Tommaseo
Si può affermare il contrario? No, assolutamente. Nonostante si scriva, si manifesti, si chiedano pene certe e severe, si legiferi, la mattanza delle donne continua indisturbata per mano di uomini dall’animo malvagio. Nella maggior parte dei casi di violenza sulle donne l’attore sottoposto a perizia psichiatrica ne esce perfettamente capace di intendere e volere, ovvero, ha agito con l’intenzione di annientare colei che ha avuto l’ardire di rifiutarlo, di avergli risposto con un secco NO! Mi domando ma non può semplicemente aprire l’uscio di casa e andare via, macché! Se non ti posseggo e ti controllo ti faccio sparire dalla faccia della terra.
La rabbia più profonda che tali individui hanno pure un passato noto per comportamenti assai discutibili, giusto per usare un eufemismo.
È accaduto nel piacentino, una 13enne è precipitata dal settimo piano della palazzina dove viveva mentre era in compagnia del moroso 15enne. Durante l’interrogatorio il giovane avrebbe negato ogni responsabilità, a suo dire, la ragazzina sarebbe caduta da sola. Pare sia stato lo stesso fidanzato a chiamare i soccorsi. Le indagini sono appena agli inizi, difficile dire come si siano realmente svolti i fatti.
Esprimere giudizi, puntare il dito nei confronti di chicchessia lo trovo di cattivo gusto e irrispettoso, oltre che infangante specie quando sono coinvolti dei minori.
Qual è, dunque, il collegamento tra la morte della 13enne e la strage senza fine del gentil sesso? Mi auguro che il giovane sia veramente estraneo alla disgrazia ma se gli inquirenti dovessero dimostrare il contrario sarebbe l’ennesimo femminicidio nel giro di pochi giorni.
Tra braccialetti elettronici che suonano a vuoto – come nel caso del femminicidio nel foggiano, una donna 56enne è stata colpita a morte dal marito, il quale era sottoposto al divieto di avvicinamento con braccialetto, sulla sua testa pendevano diverse denunce, e c’è da chiedersi come mai detenesse una pistola con cui ha tolto la vita prima alla moglie e poi a se stesso – e pericolosità sociale che, sovente, viene sottovalutata dagli stessi organismi preposti a vigilare – il numero di donne assassinate continua vertiginosamente ad aumentare.
Ed è proprio il discorso della pericolosità sociale di un soggetto che mi interessa approfondire e condividere con i lettori dell’Eco del Sannio. Bisogna sapere che la legge è molto chiara a riguardo, per quale motivo non viene applicata nell’immediatezza dall’autorità preposta?
L’articolo 203 del Codice penale recita: “Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell’articolo precedente, quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati”.
La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’articolo 133, in esso si legge che al giudice spetta stabilire la gravità del reato che desume: dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reo; dall’intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice, inoltre, deve tener conto della capacità a delinquere del colpevole che trae: dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; dai precedenti penali e giudiziari, e dalla condotta e dalla vita del colpevole, precedenti al reato; dalla condotta coeva o successiva al reato; dalle condizioni di vita individuali, in ambito famigliare e sociale dello stesso reo.
Alla luce dei tragici eventi avvenuti nelle ultime settimane, mi domando: “Quanti femminicidi si sarebbero potuti evitare se si fosse tenuto conto della pericolosità sociale di questi assassini?” Domanda lecita dal momento che gran parte delle donne uccise avevano sporto denuncia, e non una, ma più di una volta, nei confronti del proprio aguzzino, spesso, già noto alle forze dell’ordine per maltrattamenti e abusi in famiglia. Misure restrittive di ogni sorta, divieto di avvicinamento, braccialetto elettronico che suona a vuoto, ossia, non sempre funzionante, dunque, le donne non vengono avvisate della vicinanza del proprio aggressore. In altre parole, allo stato attuale le vittime hanno a disposizione strumenti di tutela che non risultano sufficienti a fermare questi irremovibili quanto spietati persecutori. Che fare? A mio parere, se il reo ha precedenti di comportamenti violenti non resta che offrirgli alloggio a vita nelle patrie galere.
Se si spera che soggetti con personalità tarata possano cambiare comportamento con qualche ammonimento, beh, allora la mattanza andrà avanti a oltranza.
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