L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

“Dicono che sono pazza perché cerco la pace? Ho bisogno di respirare. La mia voce è leggera, fa male vivere. Per troppo tempo ho cercato un fuoco che non mi scalderà più. Le sillabe bruciano la pagina, la vita brucia la mia anima. Dicono che sono pazza, ma ho solo paura del mondo”

Antonia Pozzi

 

“Pazza” la bolla il regime teocratico degli ayatollah. Pazza come tutte le donne che invocano libertà.Una libertà che viene strappata loro perché considerate “diverse”e di conseguenza rinchiuse a marcire nei manicomi, senza alcuna possibilità di essere riabilitate.

Recluse perché ribelli  alle rigide regole del sistema.

Segregate perché ‘ squilibrate’, inadatte a ‘vivere una vita ragionevole’, come impone il regime.

La libertà che guida Ahoo Daryaei, studentessa iraniana dell’università Azad di Teheran, che ha nuovamente scosso le coscienze,con un atto di sfida radicale,spogliandosi in pubblico, restando in biancheria intima, per protestare contro l’obbligo del velo islamico, mi ricorda un dipinto del pittore francese Eugène Delacroix “La Libertà che guida il popolo” realizzato nel 1830 e conservato nel museo del Louvre a Parigi.

La donna che si pone come protagonista della scena, è Marianne: lei è la personificazione della Francia, e soprattutto rappresenta la Libertà.

La donna, in una mano stringe la bandiera francese, mentre nell’altra, una baionetta, suggerendo la sua attiva partecipazione nel conflitto; i suoi piedi sono nudi mentre attraversa il campo di battaglia, ha il seno scoperto e sulla testa ha un berretto frigio, il quale era il simbolo della repubblica tanto agognata dai rivoluzionari nel 1789.

Marianne volge lo sguardo verso gli altri cittadini, incoraggiandoli a combattere.

Marianne ,come Ahoo , è una Donna fuori dagli schemi, creativa o bizzarra, che fa una scelta estrema , inaccettabile in certi tempi e in certi luoghi.E la fa pur sapendo che andrà incontro alla morte.

L’immagine della studentessa, con le braccia conserte e i capelli sciolti in segno di ribellione, è un pugno nello stomaco che ricorda oggi la brutalità del regime iraniano ma ricorda anche una storia che attraversa due guerre mondiali, due dopoguerra e una dittatura: quella italiana.
Non si può dimenticare che ci sono stati pregiudizi verso la femminilità che non si adeguava alle aspettative, per cui bastava condurre uno stile di vita un po’ fuori dagli schemi precostituiti per finire recluse, una deriva ideologica che trovò il culmine nel ventennio fascista.

Ci sono due versioni della storia. Molti attivisti, alcuni giornali e anche una ong gestita da studenti iraniani raccontano che Daryaei è stata maltrattata dalla sicurezza dell’università perché non adeguatamente vestita — in testa avrebbe avuto solo il cappuccio di una felpa e non il velo — , a quel punto, arrabbiata, avrebbe reagito togliendosi tutto, mettendo in scena il gesto più sfrontato e pericoloso che il regime possa accettare da una donna. C’è chi invece, sempre sui social, condivide un altro racconto, più vicino anche alla narrazione delle autorità. In un articolo di Bbc farsi, sarebbero riportate le testimonianze di due studenti. Secondo loro Daryaei ha problemi psichici e prima di spogliarsi non avrebbe avuto nessun incidente con la sicurezza, ma sarebbe entrata in alcune classi riprendendo con il cellulare altri compagni, interrompendo la lezione. Anche il comunicato ufficiale dell’ateneo parla di questioni di «pazzia»

Non è facile confermare quale sia la versione corretta della storia della «ragazza dell’università». Non sappiamo con certezza se davvero la giovane studentessa abbia scelto di togliersi i vestiti per protestare contro la repressione della Repubblica islamica, come riportano le attiviste e gli attivisti, tra cui la premio Nobel per la Pace, Narges Mohammadi e Amnesty International. Oppure se il suo sia l’atto irrazionale di una persona che soffre.

È facile invece comprendere che la vicenda sarà strumentalizzata della politica occidentale per affermare che l’Iran non ha nulla da salvare: può anche essere bombardato e raso al suolo, non sarà un grosso danno. A tal proposito non può sottacersi che in Iran alle donne non è impedito studiare , anzi la popolazione universitaria è al 65% femminile , o guidare, lavorare, ricoprire cariche dirigenziali, far politica, divorziare e così via. Appare plausibile che Ahoo Daryaei possa essere utilizzata per iniziare il passaggio tipico delle cosiddette rivoluzioni colorate miranti al “regime change” deciso dalla super potenza USA (come abbiamo visto fare decine di volte in numerosi paesi ) per affermare l’immagine di un Iran esclusivamente tiranno e maschilista, ma soprattutto lontano dai nostri “giusti” modelli culturali.

Qualunque sia la versione dei fatti togliamoci la lente involontariamente coloniale e proviamo a non lasciarci a nostra volta strumentalizzare in nome di quel sistema di valori che chiamiamo democrazia.

 

Ph : Wikipedia

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