Rubrica ideata e curata da Paola Francesca Moretti
Il 1978 ancora lontano, la legge n.180 non era nemmeno allo stadio germinale nel sistema sanitario in ambito psichiatrico, mentre la poetessa Alda Marini viveva in prima persona i trattamenti disumani riservati agli internati. “Percorsi di cura” molto discutibili, sempre che il termine cura possa ritenersi come forma clinicamente esatta. In merito a ciò esprimo il mio disappunto anche se devo riconoscere che i tempi erano diversi, le conoscenze e le competenze degli operatori sanitari erano ancora allo stadio embrionale; ciascuno faceva del proprio meglio nel rispettivo campo di specializzazione.
Senza voler giustificare l’operato di nessun medico psichiatra, mi piace credere che ci abbia pensato la coscienza di ciascuno, perché voglio sperare che almeno quella non sia andata a farsi friggere con i loro stessi esperimenti.
Resta l’amara verità, ovvero, che quel tipo di terapia più contenitiva che curativa e per nulla ri-abilitante, ha segnato profondamente la personalità della Marini, probabilmente, più della stessa psicosi maniaco-depressiva di cui era afflitta.
Ho sempre pensato che la fragilità di una persona possa dare vita a una forma di genialità inizialmente non compresa ma poi riconosciuta come una forma di arte di valore inestimabile, peccato che spesso il riconoscimento è postumo, ovvero, dopo la morte.
Alda Marini è per me l’esempio perfetto di una donna fragile ma forte allo stesso tempo, che ha vissuto la sua malattia consapevolmente e ha trasformato il proprio contestato talento in versi poetici di grande valore. Ha mutato la sua fragilità in uno stato di forza solido e duraturo nel tempo e nello spazio esattamente come le sue liriche.
Vi propongo “La Terra Santa”. Alda Marini è stata ricoverata in un ospedale psichiatrico per 13 lunghi anni, dal 1965 al 1978. La Terra Santa è una raccolta di poesie dove l’autrice rende pubblica la propria terribile esperienza. Secondo me un capolavoro autentico in cui la Marini avvalendosi di figure bibliche assai eloquenti descrive il manicomio e i metodi brutali a cui erano sottoposte le persone rinchiuse.
ALDA MERINI, La Terra Santa (1984).
Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch’io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.
Lì dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c’era anche il Messia
confuso dentro la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.
Noi tutti, branco di asceti
eravamo come gli uccelli
e ogni tanto una rete
oscura ci imprigionava
ma andavamo verso la messe,
la messe di nostro Signore
e Cristo il Salvatore.
Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E dopo, quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno.
Ma un giorno da dentro l’avello
anch’io mi sono ridestata
e anch’io come Gesù
ho avuto la mia resurrezione,
ma non sono salita ai cieli
sono discesa all’inferno
da dove riguardo stupita
le mura di Gerico antica.
Le dune del canto si sono chiuse,
o dannata magia dell’universo,
che tutto può sopra una molle sfera.
Non venire tu quindi al mio passato,
non aprirai dei delta vorticosi,
delle piaghe latenti, degli accessi
alle scale che mobili si dànno
sopra la balaustra del declino;
resta, potresti anche essere Orfeo
che mi viene a ritogliere dal nulla,
resta o mio ardito e sommo cavaliere,
io patisco la luce, nelle ombre
sono regina ma fuori nel mondo
potrei essere morta e tu lo sai
lo smarrimento che mi prende pieno
quando io vedo un albero sicuro.
Attraverso parole risonanti e immagini ad effetto Alda Marini scaraventa il lettore nelle possenti mura del manicomio dove si trova ricoverata. Mura forti somiglianti a quelle che cingevano la città palestinese di Gerico.
E che dire di quei farisei responsabili delle inflessibili regole vigenti nel manicomio? Un’immagine biblica evocativa quella dei Farisei, gruppo politico-religioso che avversava energicamente ogni insegnamento di Gesù, fermi com’erano nel loro convenzionalismo religioso.
La poetessa ci rimanda allo stato di isolamento degli internati in “una rete oscura che ci imprigionava ma andavamo verso la messe…”
La rete oscura altro non è che una fredda stanza geometricamente limitata da una rete e i ricoverati – prigionieri vanno verso la messe (il raccolto). Ancora una volta, il richiamo esplicito al Testo Sacro, alle parole di Gesù che usa come metafora dei suoi fedeli da assistere.
Un bel giorno, però, l’io poetico di Alda si desta da dentro l’avello, ovvero il sepolcro e come Gesù risorge. Sventuratamente non giunge in paradiso ma va diritta all’inferno, ossia, ritorna a vivere nel mondo di quegli individui che si ritengono mentalmente sani.
Per Alda si è chiusa la dolorosa esperienza in manicomio, un ambiente insalubre, avvolto da un’impenetrabile muraglia e simile a una vera e propria tomba, ma fuori cosa l’attende?
Fortemente provata da giorni bui trascorsi in completo isolamento e lacerata dai periodici elettrochoc, si affida alla sola terapia salvifica: la poesia, dimostrando che pure “un pazzo è in grado di amare”.
Ph : Wikipedia