L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

Trump è il 47esimo presidente degli Usa’, E’ il primo presidente con una condanna penale e il più vecchio ad insediarsi, a 78 ann alla casa bianca.

La vittoria di Donald Trump è una vittoria anche per i leader autoritari di tutto il mondo
Ed è con questo consenso che dovremmo fare i conti

Milioni e milioni di persone hanno sostenuto in modo cieco, fanatico, esaltato Trump davanti ad affermazioni violente e sovversive , a retoriche fasciste, attacchi sistematici ai principi fondanti di una democrazia e davanti al disprezzo rabbioso per tutto quello che significa Stato di diritto..

Non potendo spiegare e interpretare quei milioni di voti con criteri e categorie sociologiche appartenenti alla sfera della razionalità (legati ai temi del lavoro, dell’economica o anche alla paura del futuro, alla sfiducia nelle istituzioni tradizionali…). non resta che buttarsi sulla fascinazione nel potere carismatico e infine nello sdoganamento del male.

E si . Finalmente con Trump si è liberi di poter pensare, dire l’indicibile, e agire di conseguenza. Liberi di odiare l’altro perché “subumano”, o meglio considerare altri esseri umani sulla base della loro appartenenza etnica“animali” o “immondizia” (espressioni usate a più riprese durante la campagna di Trump).

Trump è il più alto rappresentante di quel potere carismatico, in cui milioni di persone finalmente si riconoscono e grazie al quale si sentono appunto liberate, senza più temere ostracismo o stigmatizzazione sociale.

Quale radice ha questo disprezzo per la democrazia? Nel suo “fascismo inconscio”, Trump non ha mai nascosto “il suo sentirsi un capo per cui la sua volontà deve trasformarsi in legge. Una delle sue frasi tipiche è: ‘Posso farlo?’. Questa è una caratteristica tipica dei capi dei partiti totalitari di destra.
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C”è una cosa certa sotto gli occhi di tutti noi: l’America non ha detto NO a Trump. Anzi finora Trump ha ottenuto 4 milioni in più sul voto popolare rispetto al 2016, ergo non è Trump ad aver plasmato un paese, è una parte consistente del paese che si sente perfettamente rappresentata da Trump, che vede in lui un portavoce affidabile delle proprie istanze,riproducendo, in termini parademocratici, una tentazione pericolosa che è all’origine di tutte le demagogie populiste e autoritarie: l’idea del governo di un uomo.

Ma come scrive Hans Kelsen, l’idea di democrazia implica assenza di capi. E, nel farlo, ricorda le parole che Platone, nella sua Repubblica, fa dire a Socrate in risposta alla domanda su come dovrebbe essere trattato, nello Stato ideale, un uomo dotato di qualità superiori: “Noi l’onoreremmo come un essere degno d’adorazione, meraviglioso ed amabile; ma dopo avergli fatto notare che non c’è uomo di tal genere nel nostro Stato, e che non deve esserci, untogli il capo ed incoronatolo, lo scorteremmo fino alla frontiera”.

Non è stato Trump a trascinare la nazione verso l’estrema destra e, se l’establishment politico liberale non si chiede quale sia stato il vento che lo ha sospinto fin qui, non capirà le origini e il propellente del pensiero e delle pratiche antidemocratiche contemporanee.

Gli Stati Uniti hanno sempre avuto correnti nativiste, xenofobe e autoritarie al loro interno: se oggi sono più forti, al punto di poter vincere le elezioni con un candidato ammiratore di Hitler, la ragione sta nella violenta dislocazione sociale e culturale avvenuta negli ultimi 40 anni di neoliberismo. Un terremoto che ha fatto uscire dalla clandestinità idee sostanzialmente fasciste, a cui i miliardari sembrano perfettamente in grado di adattarsi, certi del loro potere sui politici, Trump compreso.

Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, è sempre sul palco con Trump. Jeff Bezos ha brutalmente impedito al Washington Post di sostenere pubblicamente Kamala Harris e il proprietario del Los Angeles Times Patrick Soon-Shiong ha fatto lo stesso con il suo quotidiano. I fratelli Koch sono da decenni il bancomat dell’estrema destra. Murdoch sostiene Trump con i suoi giornali e con Fox News. Warren Buffett, Jamie Dimon e decine di altri plutocrati tacciono o sostengono i repubblicani.

Quando Sinclair Lewis scriveva il romanzo It can’t happen here («Qui non è possibile») era il 1935. Novant’anni dopo, invece, può succedere davvero.

 

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