Paradossalmente in Ucraina l’elezione di Trump era descritta già da alcuni giorni sui mass media come una elezione annunciata.
Non soltanto annunciata ma funzionale a una svolta in Ucraina: il presidente ucraino Zelensky ha incontrato Trump durante il suo recente viaggio negli States e oggi stesso ha formulato l’auspicio per una pace giusta in Ucraina forse, solo illusoriamente, da costruire col nuovo leader nordamericano.
Purtroppo, infatti, la realtà non è così lineare e positiva, il cosiddetto piano Vance, dal nome del Vice Presidente di Trump e prima ancora il piano di pace piú volte annunciato da Trump, nei mesi scorsi, appaiono, palesemente, per quanto è trapelato finora, come totalmente favorevole ai russi. In Italia anche un opinionista come Rampini ha testualmente detto che preferisce la Harris conoscendo la potenziale criticità di un nuovo mandato Trump. Altro paradosso del contesto americano: soltanto Roosevelt ha avuto tante nominations presidenziali quanto Trump, in epoca contemporanea ma Roosevelt è stato un ottimo presidente di guerra, durante il Secondo Conflitto Mondiale, mentre un Trump alle prese con una guerra su larga scala difficilmente sarebbe all’altezza del suo ruolo, storicamente, decisivo. La imprevedibilità di Trump inoltre è tale anche per cinesi e russi. Le conseguenze del voto americano già sono in atto. Proprio oggi gli Ucraini esprimono preoccupazione verso una situazione in cui, prima l’America e poi, per conseguenza, l’Europa, da gennaio, cessino o riducano drasticamente gli aiuti militari e finanziari. Inoltre la promessa elettorale di Trump di ripristinare buoni rapporti con Mosca rischia di essere un’utopia o di rimanere una promessa.
Inoltre Medvedev ha recentemente minacciato Trump di subire la stessa sorte di JFK, del Presidente Kennedy, dunque di perire in un attentato, se difende l’Ucraina o contrasta le pretese imperialiste russe sull’Ucraina. Altro prezzo da pagare per l’Ucraina sta nel rapporto con la Cina: anche qui sia la crisi di Taiwan, sia il confronto rinnovato con la Cina, da parte americana, rischiano di implementare un disimpegno in Ucraina. Altro problema non da poco: Trump non è andato durante la guerra a vedere da vicino le conseguenze della guerra, vale anche per il Medio Oriente e la Palestina e difficilmente vi andrà e se vi andrà difficilmente avrà la piena cognizione della crisi umanitaria, mentre Biden è andato in Polonia, più volte, a incontrare i rifugiati di guerra Ucraini.
Se Trump, come padre, nonno e capo di una vasta famiglia, avesse cognizione della crisi umanitaria in Ucraina potrebbe cambiare atteggiamento verso la crisi Ucraina. Se avesse consapevolezza politica del ruolo anericano, a proposito di America First, cambierebbe opinione su Zelensky, lo Zelensky che Trump ha colpevolizzato per la guerra in Ucraina.
Purtroppo, tuttavia, per la massa degli elettori trumpiani, degli Stati centrali degli Stati Uniti, l’Ucraina è una realtà remota e lontana e fuori dalle loro preoccupazioni quotidiane.
Certo l’America deve affrontare la crisi del ceto medio, deve rafforzarsi geopoliticamente e economicamente, secondo la Dottrina Trump ma questo non può accadere avendo come effetti collaterali la devastazione dell’Ucraina, o la sua neutralizzazione forzata o la integrazione forzata dell’Ucraina a est del Dniepr, nella Nova Rossija.
Iniziative di pace per l’Ucraina che sono in campo e sono serie invece, rimangono quella del Vaticano, pur restando difficile, controversa, nel giudizio degli Ucraini, la posizione del Vaticano, rispetto all’establishment russo.
Rimangono attive altre iniziative di pace: la più recente è quella dell’India, la più concreta quella della Turchia, che ha prodotto l’intesa sull’export del grano ucraino via mare.
Rimane discusso il ruolo dei mediatori internazionali: lo fu Abramovich, nella prima fase della guerra ma tuttora manca e non soltanto in generale, la mediazione della Diplomazia e specificamente un tentativo di mediazione della Diplomazia americana.
Rischiosa è di fatto la consonanza,
di fatto, data dalle affinità elettive, è il caso di dirlo, di Trump, con autocrati come Putin e Orban. Ora sta all’America oltre il ruolo stesso di Trump, dimostrarsi ancora in grado di svolgere una leadership mondiale e in che forma, militare o pacifica.
Rimane in gioco una ipotesi tuttaltro che remota di Coreizzazione dell’Ucraina: i russi stanno cercando di conquistare quanto più territorio possibile, da qui al 20 gennaio, dunque approfittando al meglio dell’oggettivo vuoto di potere in USA. Il confine della Pace di Trump in Ucraina rischia dunque di passare non dal Donbass e dalla Crimea ma appunto dal Dniepr, ponendo a rischio città come Dnipropetrovsk, Odessa, Kherson, Zaporizha e Kharkiv.
L’Europa stessa è a rischio costante, sia se deve sostituire l’America nel sostegno all’Ucraina, sia se deve coordinarsi con una NATO che mette tra parentesi la linea della amministrazione Trump, assistendo ugualmente l’Ucraina, e infine perché, mentre, come nel 1939, le democrazie indietreggiano, le dittature avanzano e perfino l’America, fonte e sorgente di democrazia, con Francia e Inghilterra, si sta, palingeneticamente, trasformando in una democrazia illiberale, se Trump applicherà alla lettera il suo modus operandi sui generis e a vocazione fortemente populista, nelle istituzioni.
L’Ucraina nel 2025, sarà al bivio e la sua fragile democrazia rischia di essere riassorbita nell’impero di Mosca, forse proprio per le scelte di Trump.
Leonardo Dini*
Leonardo Dini, nato a Roma nel 1966, primogenito di una storica nobile famiglia di origini fiorentine e parigine, si è specializzato in Giurisprudenza con una tesi in Teoria della politica e Filosofia del diritto. Dal 1989 è filosofo del diritto ed epistemologo filosofo della scienza, socio SILFS e SFI. Attualmente è Presidente di Italia Insieme Italia Liberale e svolge professionalmente il ruolo di esperto di esteri. Dal 1984 è scrittore di saggi di filosofia, romanzi e poesie.
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