Di Daniela Piesco Direttore Responsabile
Cosa differenzia la propaganda dalla comunicazione politica?Lo sapeva bene Berlinguer che non ha voluto,negli anni in cui fu segretario del Partito Comunista italiano, cambiare il pensiero delle persone ricorrendo a mezzi illeciti utilizzando un linguaggio aggressivo, violento e volto a demonizzare tutto ciò che rappresenta un ostacolo al raggiungimento dello scopo prefissato.
Il problema democratico, oggi come allora,così, finisce per apparire in tutta la sua importanza, se non altro perché la nostra democrazia, non potrebbe che fondarsi su principi diametralmente opposti a quelli su cui,si basa la propaganda in senso moderno. Da qui la conclusione che «la democrazia conserva un rapporto essenziale con la verità e con la ragione». Un sistema di governo che possa definirsi realmente democratico, del resto, non potrebbe che promuovere la pratica “universalizzatrice” della discussione, poiché in tale contesto bisogna sempre ipotizzare «che individui e gruppi abbiano opinioni differenti», ma che, lungi dal far prevalere in modo violento istanze assolutamente parziali, credano all’esistenza di una via per risolvere i conflitti.
Erano in molti a credere nella “grande ambizione” di poter imprimere un nuovo corso alla Storia, da cui sarebbe derivato un cambiamento positivo per tutti . Ma prima bisognava guardare oltre il proprio ombelico, operazione che Berlinguer imponeva prima di tutto a sé stesso, ai propri sodali di partito e alla propria famiglia, arrivando a invitare i suoi giovani figli,dopo gli avvenimenti che coinvolsero Aldo Moro , a considerare sacrificabile la sua vita di padre in nome di un ideale più grande se ce ne fosse stata occasione.
Il film emoziona perché riesce a comunicare la semplice vicinanza di quel leader alla gente, una vicinanza non ancora inquinata dalle tecniche di comunicazione mediatica e dal marketing elettorale che imperano ai giorni nostri, ma strettamente legata allo spessore umano, culturale e civile di una persona capace di mettere da parte qualsiasi personalismo pur di essere al servizio di un progetto ambizioso quanto semplice: il bene di tutti, ma soprattutto dei lavoratori e degli ultimi.
Gli anni ’70: non manca mai un po’ di nostalgia per quegli anni pieni di idee, lotte, stanze piene di fumo.
Un leader, Berlinguer, non populista ma autenticamente popolare: amato dalla folla che gli renderà omaggio durante i funerali con una partecipazione le cui immagini, a distanza di anni, ancora impressionano.
Un uomo con una visione chiara: portare il paese verso il socialismo senza uscire dalla democrazia e senza correre il rischio di cadere vittima dell’imboscata dei poteri reazionari, come era avvenuto al Cile di Salvador Allende. Operazione molto complicata in un’Italia devastata dalla crisi economica e spaventata dal terrorismo rosso e nero.
Berlinguer, studioso di Gramsci, aveva compreso in anticipo la crisi del capitalismo e l’erosione di vera libertà che questo avrebbe provocato, creando falsi bisogni e nuove violenze per soddisfarli.
La scelta del regista è di legare in maniera indissolubile , in fondo, due eventi: con la morte di Aldo Moro, muore anche Berlinguer. È la tragica fine, irreparabile, della “grande ambizione”
A condividere la sua ampia visione di modernizzazione interna del suo partito, che con mossa da grande visionario politico sottrasse alla trappola dittatoriale di Mosca,il democristiano Aldo Moro . Insieme comprendono che per rafforzare la via democratica al socialismo occorre allearsi con le forze popolari antifasciste e cattoliche, l’anima migliore del Paese, l’anima dei lavoratori, di chi ha fatto la Resistenza: questa “grande ambizione” prese il nome di compromesso storico.
Avrebbero saputo fare le mosse giuste. Ma sappiamo come è andata a finire .
Protagonista del film non è solo Berlinguer ma una giovane nazione repubblicana
Una giovane nazione repubblicana che in quegli anni provava a diventare adulta, nonostante la “strategia della tensione” facesse di tutto per farla cedere alla paura irrazionale. Una nazione che, pur con mille battute di arresto, cresceva a livello civile, respingendo con quasi venti milioni di “no” il tentativo di abolire la legge sul divorzio con il referendum. E dentro quei milioni di persone c’erano tanto i comunisti quanto le masse di cattolici, che per una volta ragionarono autonomamente rispetto alle “indicazioni” dei democristiani, Fanfani in primis.
Il film iniziato con gli anni della crisi di Allende in Chile, che vede Berlinguer sfuggire fortuitamente ad un attentato in Bulgaria nel 1973, finisce con la sua morte avvenuta prematuramente e del tutto inattesa a sessantadue anni nell’84.
Davanti alla deriva sovranista attuale chiediamoci allora francamente quali ideali alternativi possiamo offrire, anzi chiediamoci se siamo in grado di offrire ideali con i quali identificarsi
Le ideologie sono crollate e solo quella neoliberale , teorizzatrice della diseguaglianza,persiste. Non dovremmo ripensare (anche in termini operativi) agli ideali di giustizia sociale, di eguaglianza, di solidarietà? Sì, dobbiamo farlo. Anche perché, per dirla brutalmente, ci conviene. In che disastro ci troveremo quando un quinto o un quarto della popolazione proverà questo tipo di disperazione?
Lo strumento fondamentale di cui la Repubblica dispone è la scuola, che deve essere messa in grado di risvegliare negli alunni l’entusiasmo per gli ideali di cultura, di pensiero, di giustizia, di progresso. E che dovrebbe rappresentare nella pratica della critica e del sapere i movimenti evolutivi della nostra cultura.
Tutto questo significa un lavoro di decenni, siamo onesti! Ma anche un lavoro urgente, perché se non lo si fa da oggi il domani è certamente oscuro. Perciò i maestri e gli insegnanti, posti di fronte a compiti improbi, debbono essere incentivati in tutti i modi e non di certo con i tagli alla scuola .
Potranno farlo, però, solo se il mondo loro circostante mostrerà concretamente di credere in alcuni ideali comuni. Altrimenti saranno letteralmente incredibili e votati al fallimento.
E noi con loro.