Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne è stata istituita dall’Onu nel 1999, in ricordo delle tre sorelle Mirabal, deportate, violentate e uccise il 25 novembre 1960 nella Repubblica Dominicana Mariposas (“Farfalle”).

In Italia, come in molte altre nazioni il colore di questa giornata è il rosso, ad esempio, le panchine rosse o le scarpe da donna rosse, simboli delle vittime di violenze e uccisioni.

L’Onu nella risoluzione del 17 dicembre 1999 ha precisato è violenza contro le donne “qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata”.

Ed ha aggiunto che tale violenza è una manifestazione delle “relazioni di potere storicamente ineguali” fra i sessi, uno dei “meccanismi sociali cruciali” di dominio e discriminazione con cui le donne vengono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini per impedirne il loro avanzamento.

Ma anzitutto occorre capire il perché di questa escalation di donne uccise dai propri partners o dai propri ex, di violenze domestiche, minacce, stalking,

Alla base  di questo infausto fenomeno sociale c’è l’atteggiamento possessorio nei confronti delle donne che parrebbe del tutto anacronistico nel terzo millennio e che vede, invece, una recrudescenza. Perché? Un primo fattore, è il “culto” ovvero una distorta interpretazione della figura del maschio alpha. In questa malintesa accezione diviene colui a cui tutto è dovuto: la donna è sua proprietà, lui ha il diritto/dovere di dirigerla, di ordinarle come si deve vestire e truccare, di stabilire dove può andare….e se sgarra giù botte. Se poi osasse addirittura lasciarlo…..

Più insidiosa la figura del narcisista nella sua duplice tipologia overt, se ostenta superiorità, e intende avere il controllo sugli altri, oppure  covert  se il soggetto, ansioso e insicuro ha un senso di rabbia, di vergogna per un eventuale rifiuto.

Ma il più temibile profilo del prevaricatore è quando si cela sotto le sembianze del “principe azzurro”. Temibile perché la violenza inizia spesso in modo subdolo, come sopraffazione  psicologica, denigrazione che si trasforma in minacce e  in violenza fisica  con un’escalation che talora continua fino alle estreme conseguenze. A ciò si aggiunge un altro fattore di rischio, relativo alle vittime dei soprusi spesso restie alle denunce di stalking o di violenze per timore che le loro ragioni vengano sottovalutate. E di finire addirittura per subire l’umiliazione del disdoro sociale. 

Queste ultime considerazioni le ritroviamo in vari libri che riportano delitti o violenze contro le donne. In particolare, mi riferisco a Violenzissima della giornalista e scrittrice Ilaria Bonuccelli che dopo il successo di Per ammazzarti meglio, giunto alla terza edizione in poco più di un anno  (entrambi i libri sono editi da Lucia Pugliese edit.-Il Pozzo di Micene) porta alla ribalta  varie vicende, specie giudiziarie, sottolineandone la devastante ricaduta sulle vittime,  che spesso scoraggia le denunce. Ci sono numerose interviste dirette rilasciate dalle vittime, atti giudiziari, e anche osservazioni sulle risposte sociali a tutt’oggi frammentate, o insufficienti. Si parla di vittime, talvolta non credute, addirittura deprecate, ad es. per il loro orientamento, o costume, sessuale, che diviene una sorta di attenuante per i colpevoli.

Merita, poi, riproporre Favole da incubo (De Agostini,2020) in cui la criminologaRoberta Bruzzonee l’esperta di comunicazione e bloggerEmanuela Valentedescrivono famosi casi di cronaca nera con un’incisiva analisi degli stereotipi di genere che hanno provocato queste tragedie.

Tra gli stereotipi, le autrici ne sottolineano uno particolarmente lapidario e duro a morireI maschi sono intelligenti, le femmine sono utili. (nel libro se ne spiegano dettagliatamente la portata e gli elementi rivelatori, a cominciare dai giocattoli). Il senso è che i maschi sono “progettati” per comandare, le femmine per accudire. A chi pensa che siano in gran parte retaggi di un passato ormai superato, le autrici mostrano  che non è affatto così. Nella nostra società troviamo pregiudizi e tabù a cui obbediscono un po’ tutti: le vittime, gli assassini, l’opinione pubblica. Il quadro che ne emerge è crudo: le idee sessiste sono ancora molto radicate, in ognuno di noi, senza distinzioni di condizione economica e culturale.

E’ importante, poi, fare riferimento a Le nuove ferite degli uomini (Mondadori 2004) nel quale la psicologa Vera Slepoy osserva che, per lungo tempo, l’uomo si è sentito sicuro del proprio potere, del suo ruolo all’interno del sistema sociale, confortato dai privilegi derivati dalla posizione dominante. Quando sono intervenute le trasformazioni che hanno profondamente mutato l’identità femminile, quella maschile ha subito pesanti contraccolpi.

Cadute le certezze della società patriarcale, come in un effetto domino sono stati travolti anche quei modelli – il padre-padrone, il guerriero, l’eroe, il dongiovanni– a cui gli uomini si sono ispirati per secoli. Il maschio si scopre vulnerabile. Da qui  – spiega Slepoy – un dilagare di bulimia sessuale e violenza fisica e/o psicologica nei confronti delle donne. Il disagio maschile porta alla volontà di degradare la donna. Occorre quindi una ridefinizione della relazione tra sessi.

Torniamo, poi, ai rischi della prevaricazione “nascosta”: il principe azzurro appartiene alle favole. Ma la vita non è una favola. In alcune vicende riportate nei libri sopra citati ho letto frasi del tipo “diceva che mi avrebbe fatto fare una vita da regina”  oppure “all’inizio mi trattava come una principessa.” Al fondo troviamo un’arretratezza culturale che nell’omaggio alla donna cela l’idea dell’inferiorità di quello che veniva detto il “sesso debole”.

Non a caso, nei secoli passati l’atteggiamento cavalleresco nei confronti delle donne si univa a una loro totale sottovalutazione. Francesco Agnoli e Maria Cristina Del Poggetto ricordano in L’altra metà del cielo (Edizioni La Vela 2019  p.134 ss.) che nell’Ottocento, illustri studiosi come Paul Broca fondatore,nel 1859, della Società antropologica di Parigi, facevano coincidere superiorità intellettua­le e volume/peso cerebrale dell’uomo bianco maschio. E Gustave Le Bon, nel 1879 scriveva che vari psicologi dopo aver studia­to l’intelligenza delle donne le consideravano  “la forma più bassa dell’evoluzione uma­na […]”. Per non parlare di Paul Julius Möbius, autore nel 1900 del saggio Sull’inferiorità mentale della donna (Ibidem)

Trattata paternalisticamente come soggetto da “proteggere”, la donna era considerata inadatta ad avere un ruolo di protagonista nelle dinamiche sociali

.  E anche la moda contribuiva a renderla impacciate nei movimenti con gonne fino ai piedi, una serie di sottogonne, calze che si potevano sganciare. Non riusciva a correre, aveva difficoltà a salire e scendere le scale e l’uomo le dava psicologicamente e fisicamente appoggio. Regina della casa, ma pur sempre confinata nel suo “regno”, doveva avere un ruolo passivo a cominciare dai rapporti sessuali e ci si mettevano anche i romanzi dove si potevano leggere frasi del tipo “la possedette” oppure “la fece sua”.

Quando poi le donne hanno cominciato ad assumere ruoli sociali entrando a pieno titolo nelle professioni, nelle carriere direttive, nello sport, in politica, nelle forze armate e nelle forze dell’ordine,  per alcune mentalità maschili è stato un trauma e si è cercato di eludere il rischio della parità con un atteggiamento possessorio.

Quale rimedio a questi atteggiamenti?Anzitutto rilevando che questa non è una guerra tra i sessi ma una battaglia di civiltà. Poi con la richiesta di nuove leggi e di un’esemplare inflessibilità contro gli atti criminosi.

Last not least sottolineando che la soluzione posiamo trovarla solo procedendo con decisione e speditamente verso la completa attuazione della parità di genere.  Perché solo la parità eliminerà come una sorta di vaccino i pregiudizi e quindi la prevaricazione

 

*Giornalista professionista e scrittore, ha svolto per numerosi anni, all’interno della RAI, attività di progettazione e conduzione di programmi radiotelevisivi per le reti nazionali e per la Sede Rai Toscana.

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