Di Sergio Pezza

Ogniqualvolta viene emesso un provvedimento giudiziario sgradito che riguardi un politico,oppure una questione che interessi la politica, scatta immediata l’ accusa di ” uso politico della giustizia”, di ” giustizia ad orologeria” ed altre amenità del genere.

Una simile reazione da ultimo si è avuta per la questione dei migranti e della definizione di ” paese sicuro”; prima ancora per il caso Toti, governatore della Liguria, o per il processo a carico di Salvini.

È di poche ore fa il monito rivolto perfino alla Corte Penale Internazionale che ha spiccato un mandato di cattura per Netanyahu : “evitare l’ uso politico della giustizia”.

Vorrei provare a suggerire qualche criterio di valutazione, per verificare la fondatezza di queste accuse.

Partiamo dal presupposto che tutti i cittadini sono soggetti alla legge, anche i politici.

Almeno in linea di principio, la condizione di personaggio politico non esime dall’ obbligo di osservare la legge e quindi dalla possibilità di essere sottoposto a processo.

Del pari quando una decisione viene affidata dalla legge ai giudici ( come per il caso dei migranti) non ci si può scandalizzare se quei giudici adempiono ad un loro compito, ad un loro preciso dovere.

Ne’ si può pretendere di imporre a quei giudici una soluzione piuttosto che un’ altra: il potere di decidere spetta a loro.

Se invece fosse il potere politico ad imporre una determinata soluzione, allora si che saremmo in presenza di un ” uso politico della giustizia”.

Ne consegue che un processo penale a carico di un politico oppure una decisione sui migranti sgradita al potere, è in linea di principio perfettamente conforme all’ ordinamento ed alle nostre Istituzioni.

Tocca allora spostare l” attenzione sui contenuti dei provvedimenti giudiziari, per capire se davvero vi è un giudice che intenda perseguire un fine politico e non solo applicare la legge.

Solo in presenza della completa originaria, palese, infondatezza delle ragioni del provvedimento in esame potrebbe sorgere il lecito sospetto di finalità politiche perseguite dal giudice che lo ha emesso.

Ma i critici di turno spesso non hanno alcuna velleità di analisi giuridica, si limitano a suonare la grancassa in modo gradito alla propria parte politica, senza un minimo di approfondimento tecnico.

E cosi vediamo che Toti patteggia,a dimostrazione che quelle accuse non erano affatto pretestuose,e che la Corte di giustizia Europea stabilisce criteri di valutazione diversi da quelli nazionali per la definizione di ” paese sicuro” .

È appena il caso di evidenziare, per i meno attenti, che le fonti del diritto europee sono sovraordinate rispetto a quelle nazionali.

Quanto a Netanyahu solo i ciechi possono non vedere i crimini di guerra che si stanno consumando a Gaza.
Se, a proposito di Israele si invoca il diritto all’ autodifesa si dimentica che per aversi legittima difesa occorre:

1) che la reazione violenta sia diretta contro chi in quel momento vuole offendere l’ agente, per impedire che l’ offesa sia portata a termine.

Se diretta contro terzi innocenti non esiste legittima difesa.

Se posta in essere dopo che l’ azione violenta si è già consumata, siamo in presenza di una vendetta, non di una scriminante.

2) che la reazione sia proporzionata alla offesa: se qualcuno mi spintona io non posso lecitamente sparargli ed ucciderlo.

Ora, fornite le coordinate,lascio al lettore la valutazione in merito alla legittimità dello sterminio di massa che Israele sta consumando a Gaza.

In definitiva credo che quando si parla di ” uso politico della giustizia”, si intende quasi sempre fare propaganda alla propria fazione, non ragionare seriamente in ordine alla fondatezza del provvedimento in questione.

 

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