L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco
Se c’è un documentario che ho voluto fortemente vedere prima di lasciarmi trascinare dagli acquisti natalizi , questo è Buy Now – L’inganno del consumismo, disponibile su Netflix.
È un lavoro che analizza le tattiche di marketing che influenzano le nostre decisioni d’acquisto, rivelando i meccanismi nascosti dietro il consumismo moderno che sta letteralmente erodendo le basi economiche, sociali e ambientali del nostro mondo.
Dal reportage si evince chiaramente che esistono strategie di vendita subdole e raffinate che vendono assieme ai prodotti, aspirazioni, emozioni e status, trasformando oggetti di uso quotidiano in simboli di successo o felicità. Il risultato? Un ciclo infinito di insoddisfazione alimentato dall’illusione che ogni nuovo acquisto riempirà un vuoto, mentre in realtà ne crea uno nuovo e nel frattempo si modellano i nostri desideri attraverso il monitoraggio e la manipolazione dei dati personali.
Mediante un narratore d’eccezione, ossia un’intelligenza artificiale creata dagli stessi sistemi tecnologici che il documentario denuncia , viene svelato l’ inganno del grosso bluff del consumismo..ma possiamo davvero cambiare un sistema che abbiamo noi stessi contribuito a creare?
Come diceva lo psicologo Erich Fromm, “il consumismo fa perdere all’individuo la sua identità, privilegiando sull’essere il possedere, l’avere”. Proprio per questo motivo lo stile di vita del consumismo porta progressivamente ad una omologazione che appiattisce le caratteristiche regionali e locali, come denunciava lo scrittore Pier Paolo Pasolini.
Ecco le strategie più comuni.
Creare bisogni e poi vendere la soluzione:
il marketing moderno è una vera e propria arte persuasiva: crea insicurezze per poi capitalizzarle .
L’obsolescenza programmata :
Gli elettrodomestici, smartphone e altri dispositivi sono progettati non per durare, ma per rompersi, diventare lenti o obsoleti in tempi sorprendentemente brevi.E’ una strategia calcolata: forzare i consumatori a sostituire ciò che hanno appena acquistato.Un esempio lampante è anche quello dell’industria del fast fashion il cui risultato ha un impatto devastante sull’ambiente con montagne di rifiuti tessili e un consumo insostenibile di risorse.
La sostenibilità come slogan, non come impegno reale:
Molte aziende mistificano etichette e simboli come “riciclabile” per dare un’immagine green ai loro prodotti.Un esempio sono le confezioni di plastica. Gran parte della plastica definita riciclabile non lo è affatto. Solo una minima parte viene effettivamente riciclata; il resto finisce in discariche, negli inceneritori o, peggio, negli oceani. Il problema è sistemico. Non basta che un materiale sia teoricamente riciclabile: servono infrastrutture adeguate, processi economicamente sostenibili e, soprattutto, una riduzione drastica nella produzione di plastica. Ma queste misure richiedono investimenti e impegno, e molte aziende preferiscono continuare a mentire di più, facendo sembrare virtuoso un sistema che di virtuoso ha ben poco.E’ evidente che la responsabilità del riciclo sia stata scaricata sui consumatori.
Nascondere il danno che viene inflitto ad altre parti del mondo e all’ambiente:
Una delle immagini più disturbanti del documentario è quella dei rifiuti elettronici, che vengono smaltiti in modo pericoloso e irresponsabile in Paesi come la Thailandia. Qui, i dispositivi obsoleti vengono bruciati o smontati senza alcuna protezione, rilasciando metalli pesanti, mercurio e piombo, sostanze altamente tossiche per l’intero pianeta.
Le microplastiche, sono ormai presenti in ogni angolo del nostro ecosistema: nell’acqua che beviamo, nell’aria che respiriamo, e persino nei nostri corpi. Non siamo più spettatori passivi, ma parte del problema: malattie respiratorie, avvelenamenti, e la contaminazione delle risorse naturali da parte di sostanze chimiche pericolose
Togliere la libertà:
ogni nostra azione è monitorata, archiviata e analizzata ledendo irreparabilmente il nostro libero arbitrio modellandolo con influenze sottili e pervasive .La possibilità di scegliere prodotti fra loro diversi nel mercato, si rovescia in un obbligo: l’obbligo di scegliere.
E ora chiediamoci : cosa accadrebbe se comprassimo di meno? Cosa succederebbe se iniziassimo a riparare oggetti che abbiamo già anziché buttarli? Perché è importante fornire strumenti e informazioni per permettere alle persone di effettuare da sole le riparazioni?Quanto abbiamo veramente bisogno delle cose che compriamo?Ma soprattutto cosa stiamo realmente comprando ?
Magari come diceva Aristotele, occorre trovare un “giusto mezzo”, cioè un equilibrio tra due errori opposti, tra le esigenze di sviluppo e la salvaguardia dell’ambiente, tra la diffusione planetaria di un modello di benessere e la protezione delle peculiarità dei territori, delle identità nazionali e locali.
ll consumatore dev’essere ingannato: gli si promette di trovare soddisfazione (tramite l’acquisto di un prodotto), ma questa promessa deve infrangersi subito dopo terminato il consumo.
È stato Bauman a definire ne Homo consumens (pubblicato da Erickson nel 2007 ) l’economia consumistica come “un’economia dell’inganno”, laddove “l’inganno e con esso l’eccesso e lo spreco, non si manifestano come sintomi di qualcosa che non funziona, ma al contrario come segni di buona salute e ricchezza e come una promessa per il futuro”. L’economia cresce tanto più l’homo consumens è ingannato.
Ovviamente la perenne insoddisfazione, l’assenza di identità durevoli, le continue morti e rinascite dei desideri e dunque la felicità impossibile, rendono il soggetto consumista fragile e nevrotico. La sua più grande paura è non solo la “noia”, cioè la sensazione che i desideri vecchi non siano morti abbastanza velocemente per lasciare spazio a quelli nuovi, ma anche e soprattutto di non poter consumare più; o, in altre parole, di finire al livello degli “esclusi”, dei consumatori difettosi, cioè dei poveri e degli abbandonati. Questi “esclusi” sono la necessaria conseguenza di un’economia basata sul profitto, e non sulla cura dei propri cittadini.
E infatti, come sottolinea Bauman: “La società contemporanea, a differenza delle precedenti, si rivolge ai suoi membri in quanto consumatori e solo secondariamente in quanto produttori” e così i poveri sono delle vere e proprie non-persone, da allontanare, disprezzare, evitare. “I poveri di oggi sono prima di tutto dei non-consumatori o dei consumatori inadeguati e ‘difettosi’: la loro colpa è quella di non partecipare pienamente alle attività di consumo di beni e servizi”. E perciò i poveri sono un peso morto e una presenza totalmente improduttiva.
Nella società dei consumatori i poveri sono un peso morto
Proprio per tale motivo si è diffuso negli ultimi decenni un vero e proprio clima di disprezzo nei confronti del cosiddetto welfare state, cioè degli aiuti ai più fragili che, non potendo consumare, non contribuiscono in alcun modo al benessere collettivo. Tale situazione ha causato, per Bauman, una vera e propria degenerazione morale, in cui si odia il più povero e il più vulnerabile perché, nell’instabilità della modernità liquida, dove i posti di lavoro sono a tempo determinato e “non si sa mai dove si lavorerà l’anno prossimo”, l’individuo vive nel terrore di potervi diventare a sua volta.
Infatti a fianco di un’umanità che consuma sempre di più, o comunque al di sopra del necessario, anche le armi, ve n’è un’altra che soffre e muore di fame. Qualsiasi politica di solidarietà non può essere reale se non passa attraverso la rottura della spirale del consumismo, se non c’è una riduzione degli sprechi che esso induce, se non c’è la consapevolezza che il nostro elevato tasso di colesterolo è denutrizione per altri uomini: qualsiasi trattazione intorno al consumismo non deve dimenticare la profonda ingiustizia nella distribuzione dei beni e della ricchezza che esiste ancora nel pianeta terra.
Il consumismo è circolo vizioso in cui il presente consuma inutilmente se stesso.
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