G.W.F.Hegel nell’Estetica (Aesthetik 1820) scriveva: “ L’arte dal lato della sua suprema destinazione è e rimane per noi un passato. Con ciò essa ha perduto pure per noi ogni genuina verità e vitalità, ed è relegata nella nostra rappresentazione più di quanto non faccia valere nella realtà la sua necessità di una volta e non assuma il suo posto superiore.
Ciò che in noi ora è suscito dalle opere d’arte è, oltre il godimento immediato, anche il nostro giudizio, poiché noi sottoponiamo alla nostra meditazione il contenuto, i mazzi di manifestazione dell’opera d’arte e l’appropriatezza o meno, di entrambi…L’arte ci invia alla meditazione…La spiegazione sta nell’urgenza di un’arte come cultura e dell’adesione dell’arte alla vita.” [1]
Se possiamo dire che l’arte è l’esperienza della bellezza, questa constatazione conduce alle seguenti domante. Qual è fattore cioè l’elemento che traduce determinate informazioni dei sensi in esperienza della bellezza? Anche, qual è l’elemento comune che rende esperienza della bellezza una determinata visione, una determinata sensazione del tatto, dell’odorato, del gusto? Ma anche quale elemento conferisce bellezza? Quale criterio ci permette di distinguere l’arte alta dai primi e immaturi tentativi, l’artista dotato da chi è semplicemente privo di talento? Oggi non c’è nessun elemento o criterio esperienziale.
Molti dicono che nell’arte non c’è niente da vedere. E questo perché l’arte diventa iconoclastica. Un’iconoclastia moderna che non consiste più nel distruggere le immagini, ma nel fabbricare immagini, una profusione di immagini in cui non c’è niente da vedere come dirà Jean Baudrillard. Oggi nell’arte tutto sembra programmato per disilludere lo spettatore, al quale non resta che riconoscere una cosa, e cioè che quell’eccesso, che mette purtroppo fine a ogni illusione dell’arte.
Forse viviamo lo stadio finale della storia dell’arte cosi come con la potenza dell’economia viviamo lo stadio estremo della politica. Con altre parole abbiamo il vuoto dell’immagine e nello stesso tempo abbiamo il vuoto della nostra immaginaria. Nella cultura individuo – centrica postmoderna molti tentativi di creazione artistica muovono da una chiara incapacità o da un rifiuto di relazione, relazione con il materiale dell’arte e con il compagno dell’opera d’arte.
Un’immagine è precisamente un’astrazione del mondo in due dimensioni, è ciò che toglie una dimensione al mondo reale, e in tal modo inaugura la potenza dell’illusione. Oggi viviamo solo questo che esiste nel mondo dell’illusione che esprime la virtualità. L’immagine non può più immaginare il reale perché essa stessa è il reale, non può più trascenderlo, trasfigurarlo, sognarlo. Perché ne è la realtà virtuale.
In Italia prima Anceschi ha parlato di momento di massima inquietudine critica dell’ estetica inquietudine che sembra scaturire non solo dalla discussa metafora della morte dell’ arte, ma anche dalla continua invasione di campo da parte di altre discipline che in eccitato stato di espansione, cercato di annettersi non solo talune aree dell’ estetica, ma tutto il territorio.
Secondo Vattimo e Perniola l’arte non abbraccia la totalità della vita, ma va considerata come un aspetto di essa che non è morto, ma solo tramontato. Ma come possiamo vedere secondo Anceschi si è preoccupato di difendere l’ autonomia dell’ estetica e Vattimo di rilanciare il discorso sulla morte dell’ arte, mentre Perniola ha indicato quale dev’ essere la funzione dell’ intellettuale e della cultura nella società odierna adombrando anche l’ idea della simulazione.
Per Arthur Danto Coleman la fine dell’arte non significa la morte della pittura e dell’arte plastiche – artistiche, e proprio non è la morte del fare arte è invece la fine dei modelli narrativi. Si tratta di un nucleo di problema centrale nella nostra civiltà, non soltanto nella storia dell’arte e nella storia dell’immagine di cui siamo eredi, e vittime ma proprio nella nostra civiltà.
Quando parliamo di fine di una narrazione storica dell’arte, non è solo il modello narrativo che aveva incluso anche l’arte moderna e postmoderna, ma la possibilità stessa di un modello narrativo che rappresenti l’arte che ne legga il discorso in senso storico. (The End of Art). Hans Belting è uno storico dell’arte, formatosi come storico dell’arte medievale occidentale e bizantina e secondo Hans Belting l’icona, di Cristo ci mostra come un sistema di produzione di potere, cioè la Chiesa Cattolica, e diventa la narrazione del consenso.
La Chiesa Cattolica sta usando un’immagine per raggiungere un target di consenso, per coinvolgere fasce di popolazione nell’adesione a un’ideologia e a una fede. Anche Donald Kuspit sostiene che oggi nell’arte non ci sono immagini ma solo codici. L’idea di stile diventa “permesso”.
Abbiamo raggiunto una situazione di non ritorno e bisogna perciò riconsiderare le regole del gioco che chiamiamo “storia dell’arte” secondo Belting. Questo non vuol dire «rigettare necessariamente il canone che è iscritto nel patrimonio di conoscenze ereditato dalla pratica della rispettiva disciplina» secondo sempre Belting. L’arte e sempre una domanda e Dickie pensò che la risposta alla domanda “Che cos’è l’arte?” dovesse consistere in una definizione dell’arte e quindi formulò la sua teoria sostenendo che è arte qualunque cosa il mondo dell’arte dichiari tale.
Ora, il mondo dell’arte è un’istituzione, che comprende critici, collezionisti, curatori, artisti, storici dell’arte, e via dicendo, e dal momento che ho ritenuto che non c’è arte senza un mondo dell’arte, è ovvio che l’arte deve essere qualcosa di istituzionale.[2] Tutti conosciamo che l’estetica o storia dell’arte, era una sorta di sublimazione, e proprio di controllo da parte della forma. In realtà il regno dell’arte e dell’estetica è quello di una gestione convenzione dell’ illusione. Le immagini sono oggetti ironicamente puri. E l’estetica diventa un oggetto feticcio che cerca una forza.
Fine della rappresentazione, fine dell’estetica, fine dell’immagine, apre oggi la banalità tecnica dei nostri oggetti e delle nostre immagini. Il nostro segreto è sempre il segreto della seduzione. Però la seduzione oggi e la tecnologia che fa la parodia di se stessa, vomita se stessa.
Danto era molto ottimista quando scriveva che “…quel che è interessante ed essenziale nell’arte è la capacità spontanea che ha l’artista di permetterci di vedere il suo modo di vedere il mondo – non semplicemente il mondo, come se un dipinto fosse una finestra, ma il mondo nel modo in cui lui ce lo offre.” ( La trasfigurazione del banale).
Perché gli oggetti si trovano al di là della forma estetica. Sono oggetti banali, oggetti tecnici, oggetti virtuali, oggetto mimetici, ma non oggetti dell’ estetica, siccome sono oggetti feticci, senza significato, senza valore, offrono l’ illusione pura della tecnica. Perché oggi non c’è un puro pensiero ad un’ esperienza d’ arte.
Note:
1. G.W.F.Heggel , Estetica Feltrinelli, Milano, pag, 889.
2. Arthur Coleman Danto. Filosofia Arte Bellezza. di Giacomo Fronzi. MicroMega.
Apostolos Apostolou Docente di Filosofia.