Lo sguardo di un’antifascista italiana in Germania.

Di Silvia Sorrentino

Pensando al colonialismo europeo del primo Novecento, gli Stati che non tardano a venirci in mente sono le grandi potenze imperiali(ste) come il Regno Unito o la Francia. Ma anche l’Italia ha un passato coloniale rilevante, non esente da massacri e brutalità di ogni tipo, che ha contribuito a costruire l’identità nazionale odierna e di cui ancora fatichiamo ad appropriarci. La popolazione italiana continua, infatti, ad aggrapparsi al mito di “italiani brava gente” a cui facciamo riferimento quando si pensa ai peggiori eventi della storia globale.

Persino in riferimento ad uno dei più tragici e noti momenti storici come la Shoah, l’italiano medio tenderà a ricondurre la responsabilità alla Germania nazista e ad attribuire all’Italia unicamente il ruolo di “alleato”. Nel corso del secolo che ci separa da quegli orrori, i due Stati dell’Asse Roma-Berlino hanno sviluppato la propria coscienza sul passato coloniale e nazifascista in modo molto diverso, influenzando lo sviluppo economico, le strutture educative, l’apparato statale nonché la risposta della sinistra antifascista in entrambi i Paesi.

Come noto, è ormai da più di un anno che continua in modo incessante il genocidio della popolazione palestinese. Sono diversi i punti di contatto che legano il genocidio odierno a quello avvenuto ormai quasi un secolo fa ai danni di diverse minoranze europee, tra cui la più popolosa formata da ebree ed ebrei (ma non dimentichiamo anche le persone queer, disabili, rom, slave, oppositrici politiche, appartenenti a minoranze religiose).

Ciò che più lega i due genocidi, oltre al razzismo e l’odio che vengono perpetrati quotidianamente, è il modo in cui il primo viene strumentalizzato dai governi per giustificare il secondo. Israele è, infatti, composto principalmente da sionisti, ossia da ebrei che ritengono di avere il diritto di occupare militarmente e politicamente la Palestina, e che spesso si appellano alle atrocità subite in passato per evitare le proprie responsabilità internazionali attuali.

Sia Roma che Berlino condividono la stessa posizione (di supporto, sic) verso i crimini commessi da Israele; tuttavia, il fronte politico della sinistra non-istituzionalizzata sembra essersi sviluppato in modo molto diverso nei due Paesi nei confronti della questione. You say “never again”, never again is now! Stop the genocide now! Free Gaza from German guilt , leggo sul muro del bagno di un locale queer e antifascista a Lipsia.

La colpa a cui fa riferimento l’autrice o autore della scritta si riferisce alla Shoah, e a come la Germania supporti le politiche israeliane per “sciacquare via” i propri peccati del passato, senza tuttavia curarsi dei diritti della popolazione palestinese. Sembra essere proprio questo il punto di discontinuità tra la sinistra antifascista italiana e quella tedesca: la posizione sulla Palestina. Mentre in Italia i movimenti popolari antifa concordano nel ritenere la popolazione palestinese vittima di un crimine contro l’umanità, in Germania quegli stessi movimenti si spaccano a metà e c’è chi appoggia Israele nelle sue azioni. Si evidenzia, così, quella “colpa tedesca” di cui ho letto nel bagno: la paura di esprimere nuovamente l’antisemitismo del passato (ancora troppo presente nell’estrema destra) porta molti tedeschi e tedesche ad appoggiare Israele in tutto e per tutto, anche al costo di opprimere un’altra etnia.

L’Italia, invece, non ha mai realmente fatto i conti con il proprio passato, relegando l’antisemitismo ad una caratteristica principalmente tedesca e dimenticandosi del proprio ruolo nei terribili eventi del secolo scorso. Tuttavia, nonostante le evidenti problematiche che l’assenza di una reale ammissione di colpa comporta nella popolazione italiana, quest’ultima ha un paradossale effetto positivo: quello di unire il movimento antifascista contro l’oppressione israeliana.

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