Quando il Natale era una festa vera e sentita dalla famiglia nel calore di un focolare, semplice e proprio per questo meraviglioso.Ricordo sempre i racconti di mia mamma.
Non conobbe mai suo padre, mia nonna allevò lei, suo fratello e sua sorella da sola, nella sua casa non c’era ricchezza ma tanta armonia.
Vivevano in un paesino di poche case a ridosso dell’alto argine del fiume Panaro nella bassa modenese, lontani dalle luci della città e a quei tempi non c’era sicuramente abbondanza ma si godeva del poco che si poteva avere.
A Natale non c’erano centri commerciali dagli addobbi sgargianti dove puoi trovare di tutto e di più, non si potevano fare pranzi e cene luculliani, non c’era l’albero di natale sfavillante di luci e palline dorate…. Non c’era tutto questo, c’era la guerra fuori dalla porta,ed era già tanto avere un tetto sulla testa.
Mi raccontava della nonna Letizia che, con sacrificio, comprava un pezzetto di carne per fare il brodo, un pezzetto di formaggio da grattugiare e, quando mia madre si offriva per l’ operazione, la nonna diceva :- va bene, ma fischia per tutto il tempo.
Non c’erano pandoro e panettoni ma, quando andava bene, una semplice crema pasticcera della quale non si buttava niente, il pentolino usato per cuocerla, veniva ripulito accuratamente col ditino da ogni traccia del dolce. L’albero di Natale era un ramo a cui venivano legate mele, castagne, noci e, a volte, qualche caramella. Veniva allestito in camera da letto e, lo zio Ninni, fratello di mamma, tornando a casa quando il resto della famiglia si era già coricato, faceva finta di “rubare” le cose più buone e, naturalmente, mia mamma e mia zia strillavano e ridevano pur non muovendosi dal calduccio ormai fatto sotto le coperte.
Non c’era il riscaldamento in camera, solo il “prete” che scaldava un po’ le lenzuola gelide e gli inverni erano freddi, con lunghi “candelotti” di ghiaccio che pendevano dalle grondaie.
Ma era festa….
Il giorno di Natale c’era una famiglia serena seduta intorno al tavolo, e non importava se non c’era abbondanza o cibi sofisticati perché la cosa più importante era essere insieme.
Una festa vera che portava il calore unico dell’armonia, della serenità, del godere di piccole cose che sembravano veri tesori. E i regali? Forse un paio di calze o una sciarpa, oppure una mantellina, una bambola fatta di stracci e imbottita di paglia che non si poteva né vestire né pettinare, infatti le braccia erano fatte con uno stecco di legno e non si potevano piegare, tutte cose fatte a mano, col cuore e con sacrificio.
Io sono stata più fortunata, ricordo che lo zio Peppino, fratello di mio padre, veniva a casa la sera della vigilia di Natale per allestire l’albero non appena mi ero addormentata, così la mattina dopo, stropicciando gli occhi ancora pieni di sonno, mi trovavo davanti quella meraviglia di lucine, decorazioni di ogni forma e caramelle.
Mia mamma, come tradizione, la sera della vigilia apparecchiava la tavola con la tovaglia bella, un piattino e un bicchiere colmo d’acqua che mi faceva bere la mattina dopo perché, a suo dire, era stata benedetta dalla Madonna che faceva visita la notte col bambin Gesù.
Mia nonna paterna, aveva molte sorelle così, con lo scambio di regali, la mattina di Natale mi ritrovavo molti giocattoli ed aprirli era puro stupore e gioia indescrivibile.
L’unico supermercato che c’era in paese era la Coop e, con una raccolta di punti, potevi ritirare un pacco natalizio contenente generi alimentari, il panettone ma niente spumante, quello dovevi comprarlo.
Facevano la distribuzione in una vecchia casa situata in un cortile e non era vicino a casa, ci si doveva andare a piedi e mia mamma al ritorno sbuffava perché il pacco non era molto leggero e doveva portarlo sulle braccia, inoltre allora nevicava e magari dovevi fare i conti con la poltiglia della neve calpestata ma per me, era lo scrigno del tesoro.
Appena arrivate a casa al calduccio lo apriva e, come dal cappello di un mago, uscivano meraviglie e poco importava se erano alimenti comuni, per me erano cose preziose.
Ricordo che c’era sempre una scatola di sardine con sopra scritto “NATALINE”e quelle erano mie!
Tutto era vissuto con stupore e gioia, una festa attesa e assaporata in ogni suo attimo.
A capodanno non si faceva il cenone, si andava a letto presto e si festeggiava il giorno dopo, mia mamma da brava emiliana, faceva la pasta tirata a mano e le sue tagliatelle al ragù avrebbero fatto impallidire d’invidia più di uno chef, come secondo il brasato e, alla fine, la crema pasticcera.
Ora c’è tutto ma manca l’essenziale.
Addobbi, cibi, bevande e dolci natalizi già da ottobre, non c’è più l’emozione dell’attesa, l’intimità e il calore unico che dona questa festa, amata in ogni parte del mondo.
Ora tutto è mercato e opulenza che dà solo abitudine togliendo la vera magia.
Il consumismo sfrenato ha fatto dell’atmosfera di una festa intima e avvolgente, una fiera dell’ opulenza, un immenso Luna Park che inneggia alla magia del Natale ma che di questo non ha nulla, manca l’entusiasmo dell’attesa, la curiosità nel chiedersi che dono avresti ricevuto e l’impazienza del momento in cui si sarebbero scartati i regali la mattina della festa.
Anche il personaggio di Babbo Natale è stato modificato in nome del consumismo, infatti, specialmente nella tradizione nordica, era rappresentato da un vecchio magro e con la barba che indossava un lungo cappotto col cappuccio orlato di pelliccia e un cappello anch’ esso foderato di pelliccia, il tutto di colore verde o marrone.
L’abito rosso e bianco indossato da un bonario vecchietto con la barba bianca e la pancia prominente, fu ideato negli anni 30 per la pubblicità della Coca Cola e, visto il successo riscontrato, ancora oggi il caro Santa Claus, veste i colori della famosa bibita…….. Potere del marketing…..
Penso che, questi ricordi che mia mamma mi ha trasmesso, i miei ricordi di bambina che mi sono rimasti impressi nel cuore, siano una ricchezza immensa, dovremmo custodire queste testimonianze come un tesoro prezioso che può, in ogni momento, insegnarci che la vita non è essenzialmente avere tutto ma riuscire a godere del poco che si ha.
BUONE FESTE.
PH Loredana Cassetta