Le parole delle cure palliative: SPERANZA
E’ la parola più attuale nel “FINE ANNO” , quando emergono i ricordi dei giorni passati, i rimpianti, i bilanci. Alla parola “auguri”, che rivela la nostra “speranza”, si accompagnano sorrisi, stretta di mano, brindisi, abbracci, in un reciproco gioco di dono con le persone a noi vicine: la speranza diviene più forte e vera se ci crediamo “insieme”, rinasce e prende forma all’interno di una dimensione di affetto e riconoscimento. Nella solitudine la speranza si allontana, talora si spegne, diviene disperazione, scoraggiamento, buio.
Reciprocità, affetto, calore, speranza: sono parole tra loro intrecciate, sono le fonti della SPERANZA.
E nel “ FINE VITA”? Quando sembra che oramai non vi sia più “tempo” per la speranza?
Un ausiliario di Sanità, che da 20 anni faceva servizio in Hospice accudendo i bisogni fisici dei morenti, una persona di grande semplicità e con un cuore grande, mi ha donato in dialetto il suo pensiero, che ho trovato essere la definizione più completa di quale spazio, quali radici abbia la speranza nella fine vita :
“Professò, ce so’ doje modo pe’ murì. O primmo è quanno ‘o malato e parenti accettano ‘a malattia, se stringono, se parlano comme possono, se curano, se chiedono perdono e se dicono grazie l’uno all’altro. Quanno succede accussì, pare quasi ‘nu paradiso! Quella persona more serena! Certo, chi rimane ha ‘e lacreme e ‘o dolore, ma tutto ha ‘nu sapore ‘e SPERANZA e fiducia int’a vita, puru int’o distacco e ‘o vuoto che lascia chi è partuto.
L’opposto è quanno nun se accetta ‘a morte, né ‘o malato né ‘e famigliari, oppure nun se parlano, oppure nun se è capace ‘e chiedere perdono. E allora è l’inferno ‘nterra! Pe’ chi more e pe’ chi resta!”
Forse sapere che anche nell’ultimo giorno di vita potremo fare sorridere il cuore di chi lasciamo se saremo stati capaci di donare amore e chiedere perdono, forse …. può essere fonte di SPERANZA .
Le parole delle cure palliative: CONSENSO INFORMATO
La legge 219 fa seguito alla legge 38 del 2010.Circa il ruolo determinante da riservare al malato nel processo decisionale clinico, non sono consentiti dubbi, in primo luogo sul piano giuridico. Il principio di volontarietà, sancito dal secondo comma dell’art. 32 della Costituzione, afferma che «nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge».
La valorizzazione dell’autonomia dei destinatari delle cure non equivale, tuttavia, a sottovalutare gli ostacoli che il consenso informato incontra nell’ambito delle cure palliative. Nella realtà attuale, frequentemente, una parte significativa dei malati non è pienamente informata della diagnosi e la prognosi!
La consapevolezza di malattia o di terminalità non sono altresì questioni del tipo “tutto o nulla”; al contrario esse si sviluppano in modo progressivo e influenzato dal vissuto personale di malattia. Occorre sottolineare che esiste un tempo dell’informazione e un tempo delle emozioni. Quando una persona viene informata sul suo stato di malattia non guaribile è necessariamente alle prese con forti emozioni, al punto da non riuscire ad ascoltare e capire tutto quello che gli viene detto.
Si può correttamente puntare ad un consenso “progressivo”, finalizzato a garantire la tutela dell’autodeterminazione nel rispetto di ciascun paziente, delle sue scelte e peculiarità. Solo adattando continuamente lo stile comunicativo alla relazione diretta e personale, in cui si è dato modo al malato e ai familiari di condividere le loro aspettative, conoscenze, bisogni, paure, inizia la comunicazione sull’offerta di un percorso di cure palliative personalizzato e flessibile.
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Per saperne di più…. di questi temi parleremo al congresso “ Il valore delle cure palliative” ’11 gennaio! Vi aspettiamo