La befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
con le toppe alla sottana
viva, viva la befana.
Chi non ha mai recitato questa filastrocca della quale ci sono molte varianti in base alla zona in cui si vive?
Personaggio legato all’ Epifania che tutte le feste si porta via
Nella tradizione cristiana, la befana è collegata alla storia dei Re Magi.
Si narra, infatti, che i Re Magi avevano perso la strada per giungere alla capanna dov’era nato Gesù e, stanchi, bussarono alla porta della casa abitata da una vecchietta per chiedere se sapeva indicargli la strada.
La vecchietta diede loro l’informazione ma, al loro invito di fare il viaggio insieme, si rifiutò.
Poi si pentì di questa decisione e partì con un sacco di doni alla ricerca dei Re Magi ma, non trovandoli, bussò ad ogni porta lasciando un dono per i bambini, sperando che uno di loro fosse Gesù.
La leggenda, però, inizia da molto prima.
La Befana risale a riti propiziatori pagani risalenti al X-VI secolo a. C.
Deriva dalla divinità celtica di Perchta, una personificazione al femminile della natura invernale.
Perchta veniva festeggiata nei 12 giorni successivi al solstizio d’inverno, giorni propizi per la semina.
Gli antichi romani credevano che in queste notti, dodici ninfe volassero sui campi per propiziare la fertilità della terra e l’abbondanza dei futuri raccolti.
Queste entità benefattrici sono associate a Diana Artemide, ierofania della dea madre protettrice non solo della caccia ma anche dei cicli lunari e delle coltivazioni.
Le dodici figure femminili, volano a cavalcioni di una scopa, da cui il mito della figura “volante” che ritroviamo nelle più temibili streghe.
La vecchia, è raffigurazione simbolica dell’anno passato, i doni inseriti nelle calze sottoforma di dolci, cenere e carbone, sono augurio ed emblema del rinnovamento stagionale.
La calza, così come la cornucopia è il ventre femminile sorgente di vita. Nell ‘ottica morale cattolica e mortificante del corpo femminile dei secoli successivi, le calze piene di carbone sono il dono nero riservato a coloro che avevano seguito una cattiva condotta.
Nella tradizione sarda, la befana non c’ è, perché è una tradizione italiana che non ha nulla a che fare con quella dell’isola.
Si festeggia la venuta di “Is Tres Urreis” (i re magi) e si fanno doni “is trinas”( le strenne) ai bambini, che anticamente consistevano in : mandorle, fichi secchi, a volte qualche caramella o qualche dolcetto, ma non di più.
Nella cristianità, l’oro simboleggia la regalità di Gesù, l’incenso la divinità e la mirra (sostanza usata per le imbalsamazioni) la passione, morte e resurrezione.
La parola “strina” deriva dal catalano – castigliano “estrena”.
In alcune zone d’ Italia, la befana (la vecchia) viene bruciata come rito propiziatorio per scacciare le forze negative.
Nell’ Italia settentrionale, in Brianza in particolare, l’ultimo giovedì del mese di gennaio si brucia la “Giubiana”
Narra la leggenda che la Giubiana è una strega magra con le gambe lunghe e le calze rosse.
Vive nei boschi e, grazie alle sue lunghe gambe, non scende mai a terra ma si sposta di albero in albero, così spaventa tutti quelli che entrano nel bosco, soprattutto i bambini.
L’ultimo giovedì di gennaio, andava alla ricerca di un bambino da mangiare ma una mamma, le tese una trappola.
Preparò una pentola di risotto giallo con la luganega (salsiccia) e lo mise sulla finestra.
Il risotto mandava un bel profumino e la Giubiana lo sentì, così, sulla sua scopa andò verso la pentola e iniziò a mangiarlo ed era talmente buono che non si accorse che stava per sorgere il sole, così bruciò.
È tradizione in occasione della festa, cucinare il risotto con la luganega.
Ora anche la simpatica Befana è stata risucchiata nel vortice del consumismo, non arriva più a cavalcioni di una scopa ma viaggia tranquillamente in treno o sul pulmino, non porta più il sacco con i dolci ma calze preconfezionate visto che i camini classici sono sempre di meno e, siccome il carbone non si usa più, i bambini al massimo ricevono quello dolce, quindi, niente più punizione per i monelli.
Buona Epifania
pH : Letizia Ceroni