“Sai la favola del pipistrello? Gli uccelli e le bestie erano in guerra. Quando stavano vincendo gli uccelli, il pipistrello diceva di essere un uccello, perché sapeva volare. Quando vincevano le bestie, il pipistrello diceva di essere una bestia, perché aveva i denti. Per questo il pipistrello non si fa vedere di giorno. Nessuno vuole guardare le sue due facce.”

La metafora del pipistrello di Tom Wolfe, tratto da Il Falò delle Vanità, si rivela oggi più che mai un’immagine incisiva per descrivere la società contemporanea. In essa, l’ambiguità morale si cela dietro la facciata della rettitudine ostentata, e l’autenticità, paradossalmente, diventa merce di scambio. Nel mondo dei social media, dove ogni gesto è amplificato e ogni parola può essere reinterpretata, l’onestà non è più un valore in sé, ma un brand da commercializzare.

Se ci soffermiamo sull’idea di una possibile “certificazione di onestà”, il paragone con la patente di guida apre uno scenario inquietante. È semplice stabilire criteri oggettivi per valutare un’abilità pratica come quella di condurre un veicolo, ma come si può quantificare l’integrità morale? Questa impossibilità svela il paradosso del nostro tempo: mentre la società cerca ossessivamente di misurare tutto attraverso metriche e validazioni, l’essenza stessa dell’onestà sfugge a ogni tentativo di codificazione. Viviamo nell’illusione di poter quantificare ciò che per sua natura è intangibile, e questa ricerca vana non fa che alimentare il nostro bisogno di apparenze.

La figura dell’influencer in generale e dell’ influencer politico in particolare, così emblematica della contemporaneità, incarna la trasposizione moderna del pipistrello di Wolfe. Gli influencer sono maestri nel trasformare la purezza morale in un prodotto, vendendo un’immagine di autenticità che, nella maggior parte dei casi, è costruita ad arte. In un mondo dove l’apparire prevale sull’essere, l’onestà si dissolve in un gioco di specchi, e la verità diventa un costrutto narrativo plasmato per ottenere consenso. Siamo tutti spettatori di questa recita collettiva, in cui la performance della virtù conta più della virtù stessa.

L’aforisma di Pietro Nenni, “A fare a gara a chi è più puro, alla fine troverai uno più puro che ti epura”, acquisisce una dimensione quasi profetica nell’era digitale. I social media hanno amplificato una dinamica già presente nella società: la caccia all’imperfezione morale e la condanna di chiunque non risponda a criteri arbitrari di purezzacome ad esempio la famiglia tradizionale. La cosiddetta cancel culture ne è una manifestazione estrema, dove la purezza non è più una virtù, ma un’arma di potere sociale. Tuttavia, chi oggi brandisce questa arma potrebbe diventare la sua prossima vittima, in una spirale infinita di epurazioni reciproche.

La metafora del leone e dell’agnello si arricchisce di nuovi significati nell’ecosistema digitale. Non è più solo una questione di forza fisica, ma di potere narrativo: chi controlla la narrazione, controlla il destino degli altri. L’agnello moderno non è necessariamente il più debole, ma chi non riesce a costruire una narrazione credibile di forza morale. In questo senso, il “belato dell’intero gregge” si trasforma in un’opinione pubblica capace di abbattere anche i leoni più feroci, sfruttando la forza collettiva delle reti sociali.

L’onestà contemporanea richiede una corazza unica: non basta essere integri, bisogna anche resistere alla tentazione di trasformare la propria integrità in spettacolo. La vera sfida non è tanto essere onesti, quanto rimanere autentici in un sistema che premia la rappresentazione della virtù più della virtù stessa. Come scriveva Petrarca: “Onestà vo cercando, ch’è sì cara.” Questa ricerca assume un significato ancora più profondo oggi, in un’epoca in cui la trasparenza è ostentata ma spesso priva di sostanza. L’onestà si scontra con la sua mercificazione, creando un cortocircuito tra aspirazione etica e realtà sociale.

Ma come possiamo reagire a una società dove l’informazione è pilotata e le piattaforme digitali, anziché moderare il discorso pubblico, si trasformano in un’arena dove prevalgono menzogna e manipolazione? La rimozione della moderazione sui social non fa che esacerbare queste dinamiche, lasciandoci in balia delle grandi corporazioni e delle loro agende. Tuttavia, possiamo davvero affermare che prima fossimo liberi dalla menzogna? O forse abbiamo sempre vissuto in una realtà plasmata da chi detiene il potere, solo con mezzi più sottili?

La sfida del nostro tempo è duplice: da un lato, riconoscere la nostra condizione di vittime di una narrazione pilotata; dall’altro, trovare gli strumenti per resistervi. Una possibile strada è quella di educare alla consapevolezza critica, rendendo le persone meno suscettibili alla manipolazione e più capaci di distinguere tra ciò che è autentico e ciò che è costruito. Inoltre, è necessario costruire spazi alternativi, piattaforme dove il dialogo sia realmente libero e rispettoso, ma non anarchico.

Viviamo in un’epoca complessa, dove l’apparenza minaccia di soffocare la sostanza. Forse la vera rivoluzione non sarà nella ricerca di una purezza impossibile, ma nel trovare un equilibrio tra l’autenticità e la capacità di navigare un sistema che, pur imperfetto, può ancora essere migliorato. La menzogna non si sconfigge con altre menzogne, ma con il coraggio di essere coerenti, anche quando il sistema ci spinge a compromettere la nostra integrità. E questa, forse, è la forma più alta di onestà.

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