Di Roberto Fronzuti direttore dell’ Eco di Milano e Provincia 

La congiura e le arringhe ciceroniane

Lucio Sergio Catilina, patrizio romano, accusato di essersi arricchito con i beni dei seguaci di Silla ch’erano stati proscritti, ma soprattutto di congiura contro lo Stato, fu vittima delle macchinazioni del potere.
L’accusa fu portata avanti con violenta determinazione da Sallustio, ma soprattutto dalle arringhe di Cicerone, passate alla storia come “Catilinarie”. Gli storici moderni, liberi dalla miopia delle passate analisi, sostengono che sull’accusa di congiura contro lo stato formulata contro Catilina è lecito dubitare.

Ma sentiamo da vicino il parere di Catilina.

Caro intervistatore, sono stato al centro e poi vittima di una brutta storia di accusa, letteralmente inventata, col preciso scopo di sgombrare il campo dalla presenza di un personaggio come me, che ostacolava le mene del vecchio potere”.

Come andarono veramente le cose? E il perché dell’accusa di congiura?

Mi ascolti. La mia casa romana era frequentata da personaggi di rilievo: notabili, senatori, intellettuali, matrone. Una di queste matrone Aurelia Orestilla, vedova bella e ricca, sarà la mia sposa nell’anno 64 a.C. Questa frequentazione insospettì non poco i detentori del potere conservatore: aristocratici, privilegiati, benestanti. Questi personaggi vivevano nel continuo sospetto che una congiura potesse rovesciare il loro governo, covando sotto sotto l’impressione che fossi intenzionato a scalzarli. In effetti conoscendo troppo bene l’iniquità dei loro comportamenti, che sistematicamente nascondevano le attese delle classi più povere, io mi ero dichiarato a favore di una politica più attenta ai bisogni delle classi popolari, ma senza pensare ad una congiura del resto obiettivamente difficile da attuarsi”.

Ma chi in pratica diede corpo alle accuse e s’avventò sulla sua persona?

Vede, per dirla con Tacito, quanto è più prestigiosa la posizione degli accusati, tanto più è facile lo stimolo dell’eloquenza. Era il terreno ideale di Cicerone. Questo senatore-avvocato portabandiera da sempre degli ‘ottimati’ e opportunistico sostenitore del patriottismo, della religione, dei valori aviti, dei privilegi consolidati, del vecchio e decomposto potere conservatore, si scagliò con veemenza contro la mia persona. Cicerone era un’abile toga, dotato di una acrobazia di linguaggio inimitabile. Gli fu facile irretirmi con la sua dialettica”.

Ma se l’accusa di congiura non era dimostrabile, come fu possibile a Cicerone insistere nell’accusa stessa?

Quell’elegante e pomposo manovratore della parola conosceva l’arte della retorica, della persuasione, in modo che non solo il vero apparisse come vero ma che anche il non vero apparisse come vero.
Questi predicatori della mansuetudine sanno scatenare il terrorismo di stato contro chiunque attacchi in buona fede i loro egoismi. Creano pretestuose ragioni di salute pubblica per reprimere gli avversari che difendono la plebe, le leggi. Cicerone ha l’abilità di linciarli con le parole, moralmente e fisicamente, difendendo il gruppo oligarchico al potere costituito da ventotto famiglie che fanno scempio del diritto, riducendo, per esempio, a schiavi cittadini liberi già immiseriti dallo stato d’indigenza in cui versano”.

Ma allora lei si batteva, insieme ad altri democratici, per la difesa dei diritti dei cittadini più deboli?

Certamente. Ma mi muovevo nell’ambito della legalità. Come già i Gracchi e altri democratici. Io denunciavo e smascheravo il marcio di Roma, ecco perché la mia bocca doveva essere chiusa”.

Quindi una situazione delicata e pericolosa era diventata la sua…

“Altro che. Il mio movimento protestatario interpretava l’anelito alla giustizia di tutto lo stato romano dalla Puglia alla Gallia Cisalpina. Pensai di incanalarlo in modo corretto cercando di candidarmi alle elezioni. Tre volte avanzai la candidatura al consolato, ma invano, per ben due anni me lo impedirono. Catone Romano e Decimo Giunio Silano erano autentici maneggioni dei meccanismi elettorali e orchestrarono una ridda di calunnie e dicerie su di me ed i miei amici”.

In pratica lei ed i democratici siete stati privati di ogni possibilità di battervi con mezzi legali.

“È stato esattamente così. Le dirò di più. Fummo addirittura accusati di preparare una rivolta armata. Il che non era assolutamente vero in quanto il mio movimento popolare era solo un movimento d’opinione. Senza denaro, alleanze, esercito non si poteva fare altro. Non escludo che lo stesso Cicerone fosse a capo di un’attività d’‘intelligence’ volta ad incastrarmi. Ci tentò pure con Cesare e Crasso, ma il progetto era troppo rischioso per sperare in un buon esito. Ci tentò invece con me, riuscendoci”.

Cicerone quindi fu il principale attore delle accuse di congiura che lei dovette sopportare. Non è così?

lo e i miei amici fummo accusati di ogni tipo di reati: stupro, incesto, minaccia d’incendio della città, di attentare alla vita dei nobili. Il console Cicerone, instancabile regista del mio annientamento, sostenne persino che avevo l’intenzione di violare la castità della vestale Fabia, sorella di Terenzia e moglie dello stesso Cicerone…”.

Una situazione insopportabile dunque. E lei non reagì, non si difese…
Certo che lo feci. L’8 novembre del 63, mi presentai al Senato per chiarire la mia posizione e quella dei miei amici. Qui Cicerone si scatena pronunciando la prima ‘catilinaria’, sostenendo la qualifica di nemico pubblico. Fui sopraffatto dalle grida ostili ed ingiuriose dei senatori. Ero alle corde. In senato Cicerone riversò per tre giorni consecutivi un fiume di violenta eloquenza. Venne richiesta la condanna a morte”.

Ma a questo punto come mai nessuno viene in suo aiuto? Sì che Cesare non era insensibile alle sue tesi e stimava la sua persona.

Cesare fece il possibile per evitare la mia condanna a morte. Invocò la legge Porcia proponendo l’esilio. Ma contro di me insorsero l’influente Catone Minore e la potente cricca, invocando di nuovo la condanna a morte. Quel Catone e quel Cicerone stavano commettendo un vero e proprio arbitrio giuridico poiché soltanto la flagranza di reato, la confessione e un regolare processo potevano giustificare la pena di morte, soppressa sin dal 195 a.C. per i cittadini romani e regolati dalle tre leggi Porcie”.

Come andò allora?

Fui relegato a Fiesole. I miei cinque amici più fidati furono strangolati nel carcere Mamertino. Io cercai di radunare i miei fedeli mettendo insieme circa duemila uomini male armati, ma animati da assoluto spirito di sacrificio per una causa ritenuta giusta”.

Pochi uomini invero a fronte delle addestratissime e ben armate legioni del potere.

Contro quella mia piccola schiera s’avventarono le tre legioni di Quinto Metello Celere, Quinto Marcio Re e Gaio Antonio. Quest’ultimo, mio caro amico, si diede ammalato per non combattere contro di me, affidando il comando della sua unità a Marco Petreio. Io lasciai il cavallo per combattere a piedi accanto ai miei uomini. Resistemmo animosamente. Fummo alla fine sopraffatti. Persi la vita preda di mille spade. Tutto avvenne nel territorio del municipio romano di Pistoia, nei pressi del fiume Ombrone. S’era nel gennaio del 62 a.C. Terminò con quell’impari lotta una speranza, un anelito di giustizia… e si chiuse uno dei più oscuri ed ignobili capitoli della Repubblica romana”.

Quanti anni aveva quando cadde in combattimento?

Nacqui nel 108 a.C. Faccia lei un po’ i conti… Avevo solo 46 anni”.

Con la morte del nobile Lucio Sergio Catilina si chiude uno dei più oscuri capitoli della Repubblica romana.

 

pH : Wikipedia

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