L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco
Contro un futuro di controllo e questo buco nero della democrazia ci sarebbe solo un rimedio, il pensiero critico. Sarà per questo che il vicepresidente eletto David Vance ha detto, per tempo, che «le università sono il nemico. Penso che il modo di fare di [Orbán] debba essere un modello per noi: non eliminare le università, ma dare loro la possibilità di scegliere tra la sopravvivenza e l’adozione di un approccio all’insegnamento molto meno parziale».
La cortigiana di Mar-a-Lago è veloce a imparare le lezioni, specie quando le sono congeniali: e dunque anche da noi l’università è diventata un nemico.
Il nuovo decreto sicurezza, in particolare l’articolo 31, rappresenta una minaccia senza precedenti alle libertà individuali e al cuore democratico dell’Italia. L’obbligo imposto agli atenei di schedare studenti, ricercatori e docenti, segnalando le loro opinioni politiche o affiliazioni ai servizi segreti, segna una deriva autoritaria che sembra ispirarsi a regimi del passato piuttosto che a una moderna democrazia.
La norma impone agli atenei di denunciare non solo chi si associa a movimenti politici o attivisti, ma addirittura chi partecipa o tiene lezioni considerate “pericolose” o “sovversive”. Il messaggio è chiaro: dissentire, anche solo esprimendo opinioni critiche, potrebbe costare caro. Questo provvedimento non colpisce solo la privacy, già messa a dura prova negli ultimi anni, ma mina alle fondamenta i principi di libertà di espressione e pensiero sanciti dalla Costituzione.
Un grande fratello accademico
Il paragone con il “Grande Fratello” di Orwell non è affatto azzardato. L’università, tradizionalmente luogo di confronto, innovazione e pensiero critico, rischia di trasformarsi in una macchina di sorveglianza per conto dello Stato. La differenza rispetto al passato è evidente: fino a poco tempo fa, le università potevano opporre motivazioni legate alla privacy per respingere richieste di accesso ai dati. Ora, questa possibilità viene eliminata in nome di vaghe esigenze di “sicurezza nazionale”.
Il termine stesso, “sicurezza nazionale”, suona ambiguo e pericoloso. Chi stabilisce cosa sia una minaccia? E con quale trasparenza? La storia ci insegna che simili giustificazioni hanno spesso aperto la porta agli abusi di potere. In un contesto come quello attuale, dove il populismo e il controllo sembrano essere strumenti sempre più utilizzati, c’è il rischio concreto che il dissenso venga etichettato come “sovversivo” e represso con strumenti legali.
Il futuro: una società paralizzata dalla paura
Il testo è volutamente generico e ambiguo, ma apre la porta alla possibilità che gli atenei consegnino ai Servizi da una parte le schede personali di docenti e studenti “irrequieti”, dall’altra passino loro direttamente i risultati della ricerca. Nell’un caso e nell’altro andrebbero in fumo quasi mille anni di storia in cui l’università – tra alti e bassi – ha difeso la sua autonomia dallo Stato, e la sua libertà dalla ragion di Stato. E a mettere le mani su informazioni tanto delicate e preziose sarebbe uno Stato che è oggi la postdemocrazia di cui sopra: uno Stato italiano consegnato agli oligarchi americani che controllano l’Occidente.
Se non fermata, questa deriva autoritaria potrebbe avere conseguenze devastanti. Le università rischiano di perdere il loro ruolo di pilastri della democrazia e della libertà intellettuale, trasformandosi in ambienti asfittici dove la paura di essere sorvegliati frena ogni discussione critica. Gli studenti, i ricercatori e i professori potrebbero censurare se stessi per timore di ritorsioni, limitando così la capacità della società di evolversi attraverso il confronto delle idee.
Questo controllo generalizzato genera un precedente inquietante: se accettiamo che la privacy venga sacrificata in nome della sicurezza, quale sarà il prossimo passo? Telecamere nelle case? Registrazione obbligatoria delle conversazioni private? La progressiva erosione delle libertà individuali può condurre a una società in cui l’individuo non è più un cittadino libero, ma un suddito costantemente monitorato.
Diritto alla privacy: una battaglia da difendere
Il diritto alla privacy non è un lusso per chi ha qualcosa da nascondere, ma un pilastro della democrazia. Difenderlo significa preservare l’equilibrio tra sicurezza e libertà, evitando che il primo diventi un alibi per sopprimere il secondo. Chi sostiene che “chi non ha nulla da nascondere non ha nulla da temere” dimentica che proprio le garanzie di libertà hanno permesso alla società di evolversi, proteggendo anche chi in passato è stato ingiustamente accusato o discriminato.
Resistere per il futuro
La società italiana si trova a un bivio. Accettare passivamente queste norme significa avallare una visione autoritaria del potere, dove il controllo diventa il fine ultimo dello Stato. Resistere a questa deriva, invece, significa riaffermare i valori democratici e garantire che le generazioni future possano vivere in un Paese libero, dove il pensiero critico è un diritto e non un rischio.
Non è troppo tardi per invertire la rotta. La consapevolezza collettiva e la mobilitazione della società civile sono essenziali per fermare questa deriva autoritaria e riaffermare i principi su cui si basa la nostra democrazia. L’Italia deve ricordare che la sicurezza senza libertà non è sicurezza, ma solo un’altra forma di oppressione.
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