Intervista realizzata dal Direttore Responsabile Daniela Piesco
Domenico Pisana* figura di spicco nel panorama culturale italiano, rappresenta un punto di riferimento per chi desidera comprendere le sfide e le opportunità del nostro tempo. Con una formazione multidisciplinare che spazia dalla teologia alla filosofia, dalla letteratura al giornalismo, Pisana offre una visione complessa e articolata dei principali temi che attraversano la società contemporanea.La sua profonda conoscenza della tradizione culturale e letteraria, in particolare della poesia italiana, si coniuga con un’attenta analisi delle trasformazioni in corso e delle nuove tecnologie. Questa capacità di coniugare passato e presente rende Pisana un interlocutore privilegiato per riflettere su come l’eredità culturale possa orientare le scelte del futuro.
In un’epoca caratterizzata dalla frammentazione dell’informazione e dalla diffusione delle fake news, l’etica della comunicazione assume un’importanza cruciale. Pisana, docente di Teologia Morale e giornalista, offre una riflessione profonda sul ruolo dell’etica nel giornalismo digitale e sull’importanza della verità in un’era dominata dall’intelligenza artificiale.
L’intervista a Domenico Pisana si propone di approfondire temi cruciali come il rapporto tra fede e cultura, il ruolo della letteratura nella società contemporanea, le sfide dell’educazione nell’era digitale e il futuro dei luoghi di incontro culturale. Attraverso le sue parole, potremo comprendere come la cultura possa essere uno strumento per costruire un futuro più giusto e solidale.
L’ intervista
1.Come docente di Teologia Morale e giornalista, quale ritiene sia il ruolo dell’etica nella comunicazione digitale di oggi, specialmente considerando le sfide poste dalla disinformazione e dall’intelligenza artificiale?
Una delle principali istanze etiche che la società di oggi rivolge al mondo del giornalismo e della comunicazione mass- mediale, è sicuramente un’informazione caratterizzata da professionalità, trasparenza, libertà e autonomia, al fine di rendere un servizio alla verità. Ma – è giusto domandarsi – quale verità? Bisogna domandarselo perché nessuno può pensare di possederla, né avere la pretesa di poterla distribuire con i giornali, le radio e le tv. Se ciò, tuttavia, è vero da una parte, dall’altra è altrettanto vero che il mondo della informazione deve sforzarsi di essere veritiero, cercando – come direbbe il filosofo Spinoza – né di piangere né di ridere ma di “intelligere”, cioè leggere dentro la realtà e i fatti della società e della la storia per tentare di capirli. Dire la verità, essere veraci significa dire le cose relativizzandole e mettendole nel giusto contesto, nella luce problematica che esse presentano, con la consapevolezza che occorre fare ammenda quando si esagera e si sbaglia. Il mondo della comunicazione serve la verità quando dimostra con i fatti che la verità implica il confronto con gli altri: nel dialogo si scopre progressivamente la verità. E’, pertanto, inaccettabile una informazione usata come strumento di continua polemica o, peggio, come una clava per ridurre al silenzio l’avversario. Quando ci si accorge che in nome della verità si chiudono le porte del dialogo e si fa una informazione d’assalto, si può essere certi che si sta imboccando non la strada del servizio ma del disorientamento dell’opinione pubblica, e che si sta perseguendo qualche inconfessabile interesse. Ma oggi è possibile un’etica della comunicazione? Sicuramente è necessaria, perché esiste un diritto della persona a non essere ingannata.
2. In qualità di Presidente del Caffè Letterario Salvatore Quasimodo, come vede il futuro dei luoghi di incontro culturale nel post-pandemia? Qual è il loro ruolo nell’era della digitalizzazione?
Quale Presidente del Caffè Letterario Quasimodo, credo che i luoghi di incontro culturale debbano proporsi come momenti finalizzati – direbbe Quasimodo – a “ri-fare l’uomo dentro” . Affaticati come siamo dal fluire delle giornate, il fermarsi un attimo per aprirsi alla voce di un poeta, di uno scrittore o di un artista che vuole comunicare qualcosa di sé agli uomini del suo tempo, può risultare efficace alla cura dello spirito e alla ricomposizione delle relazioni umane. In molti o in pochi potranno ascoltarlo, non importa; in realtà – per usare le parole di Montale, il poeta ignora e spesso ignorerà sempre il suo vero destinatario.
Spesso il cammino umano è un continuo navigare nell’oceano dell’oscurità; si rimane soli con se stessi, si vive nell’oscurità delle delusioni, delle ferite che stentano a rimarginarsi, dei muri dell’incomprensione e dell’indifferenza, della paura e dei pregiudizi che paralizzano le relazioni.
In questo quadro di oscurità, la poesia, la letteratura, la musica, l’arte e il teatro ci aprono un orizzonte, sembrano dirci che non occorre disperare, perché c’è sempre una goccia di luce che non solo si desidera, ma che viene anche offerta: una goccia di luce, piccola nelle dimensioni, ma tanto grande da avere il potere di risollevare la vita dell’uomo, di illuminare il suo volto, i suoi occhi, la sua mente e di dare refrigerio e speranza al suo cuore, aiutandolo ad uscire dal naufragio dell’oceano
3. Lei ha studiato approfonditamente Quasimodo e Montale. Come pensa che questi poeti interpreterebbero le attuali crisi globali, dai conflitti internazionali ai cambiamenti climatici?
Quasimodo interpreterebbe le crisi globali dell’oggi della storia come frutto della incapacità dell’uomo di cambiare. Nella sua poesia “Uomo del mio tempo” egli affermava come l’uomo si è prodigato ad affinare gli strumenti di morte passando dalla pietra e dalla fionda, dalle forche e dalle ruote di tortura ai più sofisticati carri armati (il carro di fuoco) e aerei (le meridiane di morte) .Nel quadro di questo processo di perfezionamento degli strumenti di offesa della guerra, non possiamo che dare ragione al Nobel, se è vero che l’uomo del terzo millennio ha trovato nella scienza e nella tecnica i suoi alleati, che gli hanno consentito di poter esternare con maggiore efficacia il suo sentimento di inimicizia e di odio, così da ridurlo ad un essere privo di amore e di umanità.
Le guerre in corso nel nostro tempo sono il frutto dell’ostinazione dell’uomo a risolvere le questioni internazionali, siano esse la guerra o la tutela dell’ambiente, non con il dialogo ma con la forza delle armi, la violenza e la sopraffazione dell’altro.
Montale, invece, continuerebbe a mettere in rilievo quando sostiene nella sua poesia “Incespicare”, e cioè che il parlare degli uomini in quanto «mezzo parlare» ha reso «muto» il mondo, cioè incapace di comunicare, mentre il parlare di quel «qualcuno [che] una volta parlò per intero» e del quale l’uomo della modernità vorrebbe che si tacesse in quanto non afferrabile, misurabile e verificabile, in realtà, pur se apparentemente «incomprensibile», ha una sua sapienza conoscitiva ed è portatrice di una verità sulla vita.
4. Come già direttore di un quotidiano online, quale pensa sia il futuro del giornalismo locale nell’era dei social media e delle grandi piattaforme di informazione?
Il giornalismo, specie quello d’inchiesta, non deve giustiziare immediatamente le persone, a qualsiasi cultura, religione, razza o partito politico essi appartengano, “sbattendo il mostro in prima pagina” o, peggio ancora, anticipando verdetti di colpevolezza e di condanna. Non nascondiamoci dietro “la teoria dell’indiscrezione” per distruggere la vita privata delle persone, né strumentalizziamo per fini ideologici la notizia, né glissiamo su quelle scomode, nascondendole.
I giornalisti prima di accusare, di lanciare sospetti, si sforzino di esigere spiegazioni dal legislatore, da chi amministra, dal politico, da chi ha pubbliche responsabilità perché si possa capire se il suo agire è stato sincero, trasparente come l’acqua, l’aria, il vetro oppure viziato da interessi personali da nascondere, così da creare le condizioni per un rapporto di fiducia, senza il quale nessuna buona amministrazione e buon governo sono possibili.
5. Considerando la sua esperienza nell’insegnamento della Bioetica, quali sono secondo lei le principali sfide etiche poste dalle nuove tecnologie in campo medico e dalla ricerca genetica?
La disciplina oggetto del mio percorso di teologo riguarda sicuramente una sfera importante della vita sociale, ossia la morale e la bioetica. Direi che l’impatto con i temi etici oggi è molto sentito, e la Teologia Morale e la Bioetica sono discipline che toccano, oltre a temi strettamente di carattere religioso, anche argomenti riguardanti la Dottrina sociale della Chiesa in materia di etica e politica, economia, lavoro, diritti umani, ambiente, problematiche di bioetica e della famiglia, ove la visione dell’uomo ha una sua specificità che mira a dare un contributo critico di riflessione alla costruzione della vita sociale. Certo, è un campo che mi consente di interagire in modo costruttivo e dialettico con tutte le dimensioni del pluralismo etico contemporaneo.
Le principali sfide sono quella legate alla natalità e alla vita. La vita è un valore universalmente riconosciuto, tant’è che, ad esempio, basta citare la Costituzione europea all’art. II – 62 ove si afferma che “Ogni persona ha diritto alla vita”, per rendersi conto come tutti i sistemi legislativi ritengono essenziale e fondamentale il rispetto della vita fisica, quale presupposto di tutti gli altri diritti umani: libertà, salute, cibo, istruzione, ecc. Eppure, quando si parla di vita spesso nascono conflitti, divergenze, si costruiscono persino delle ideologie che riescono a dividere la società civile e si aprono anche dei solchi tra cattolici e laici. Per poterci intendere è anzitutto necessario capire due ragionamenti: che cosa intendiamo per vita e il concetto di senso della vita.
Se ci poniamo su un piano scientifico e filosofico, parlare di vita significa fare riferimento sia alla vita biologica, comune a tutti gli organismi viventi, piante incluse, sia alla vita umana, che è caratterizzata dal fatto che comprende, oltre gli elementi biologici, anche le funzioni intellettive e spirituali, che sono quelle che ci fanno parlare di persona umana.
Quando ci spostiamo su un piano etico, il concetto di vita si amplia, poiché entriamo in un orizzonte nel quale si fa riferimento alla ricerca di senso, ossia al bisogno dell’esistenza umana di capire chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. La ricerca di senso della vita ci porta ad interrogarci sulle domande ultime che caratterizzano il cammino dell’uomo.
Se, pertanto, pur difendendo tutti la vita, si creano delle contrapposizioni, è perché alcuni sostengono una visione sacrale della vita, che è chiaramente di stampo religioso, per cui danno ad essa un valore assoluto e affermano che essendo un dono di Dio sacro ed inviolabile, l’uomo non solo deve salvaguardarla ma non può decidere autonomamente di disporne a proprio piacimento; altri, invece, puntando su una visione qualitativa della vita, di matrice laica, ritengono che la vita appartenga all’uomo, e il suo valore non dipende da Dio ma dalle condizioni di benessere fisiche e mentale che egli riesce autonomamente a conquistare, nonché dal contesto culturale in cui egli vive.
Da queste due visioni, come potrai notare, nascono le divergenze, che non sono insignificanti: chi ritiene sacra la vita, tiene conto di indicazioni morali trascendenti, che, cioè, vengono dall’alto; chi afferma che la vita non è creazione divina, sostiene che le norme morali, in materia di biotica, sono interamente stabilite dall’uomo, che non esistono azioni giuste o sbagliate in assoluto e che la riflessione sulla vita umana è mutevole in ogni luogo e in ogni tempo e affidata alla libertà e autodeterminazione dell’uomo stesso.
6. Da esperto di letteratura e teologia, come vede il dialogo tra fede e cultura nella società contemporanea, specialmente in un’epoca di crescente secolarizzazione?
Il dialogo tra fede e cultura e estremamente importante in una società e in un mondo globale che vuol dirsi umano e giusto.
A mio avviso certa cultura della modernità ha creato una visione unidimensionale dell’uomo, cadendo in un grosso errore, cioè quello di guardare solo a ciò che è materiale, dimostrabile, scientificamente possibile, dimenticando che nell’uomo c’è anche sete di cose spirituali, solo che non vuole ammetterlo.
La fede dialogando con la cultura la può aiutare e comprendere che esiste anche una dimensione dello spirito che apre l’uomo alla trascendenza, a tutti quei beni immateriali che rientrano nell’ambito di ciò che è bello, vero, buono e giusto; e non per niente uomini religiosi, poeti, filosofi e scrittori, anche diversamente ispirati, hanno sempre messo in rilievo come l’uomo cerchi di trascendere se stesso quando non si accontenta di sussistere, continuando a porsi domande sul significato ultimo delle cose. Se l’uomo ha la capacità di trascendersi, questo significa che egli è un essere finito alla ricerca di ciò che è infinito. Qui si apre l’orizzonte della dimensione religiosa, per questo Pascal poteva affermare che “l’essenza ultima delle cose è accessibile solo al sentimento religioso e che il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce”; questo, chiaramente, non vuol dire che la ragione è in contrasto con il sentimento religioso o con la fede, tutt’altro, ma che il sentimento religioso e la fede possono aiutare l’uomo a capire e comprendere che l’inconoscibile e l’incomprensibile esistono.
7. Come studioso e promotore della cultura siciliana, quale ruolo può avere la letteratura regionale nel preservare l’identità culturale nell’era della globalizzazione?
A mio giudizio la letteratura, nelle sue varie forme espressive, non può rimanere la distrazione di un momento né un tranquillante di rassegnazione, né una illusione intellettuale e sentimentale, ma credo debba diventare “voce necessaria di dissidenza” della società contemporanea già falsata dall’alienazione economica e da altre alienazioni. La letteratura se non ha a che fare con la realtà storica delle persone sia nella loro singolarità che socialità, sia nella loro spiritualità che relazionalità, rimarrà un atto di autoconsolazione senza prospettiva. Da qui la necessità di un recupero del rapporto tra poesia, letteratura e filosofia. Lo scrittore non è solo un sognatore, un idealista, ma è anche uno che “incide e graffia”, disegnando le coordinate di una umanità incapace di comunicare, di esprimersi, di cantare, di cogliere la diversità, di una umanità che spesso vive in un appiattimento desolante e privo di novità. Dalla penna di un poeta, di uno scrittore, di un uomo di cultura possono scaturire sogni e costruzioni di mondi che possono sembrare irrealizzabili , ma è anche vero che possono diventare una lama a doppio taglio. Chi che crede nel sogno e nell’utopia non è in contrapposizione al realismo; la parola dello scrittore deve aprirsi alla storia, alla società, all’uomo che vive la sua quotidianità esistenziale, dando alle sue parole un tono di riflessione civile; la cultura, a mio avviso, diventa salvifica quando sfugge alle alchimie concettuali fini a se stesse, per trasformarsi, invece, in parola che si fa canto, che si fa “urlo” , “spia” capace di “rivelare l’etre”, cioè l’essere e la condizione dell’interiorità umana, sia a livello universale che sul piano personale.
8. Dato il suo impegno nella formazione pedagogico-didattica, come vede il futuro dell’educazione dopo l’esperienza della didattica a distanza e l’integrazione delle nuove tecnologie?
In questo terzo millennio occorre riconsiderare il problema educativo dei giovani, che coinvolge tutta la società nelle sue articolazioni: la famiglia, la politica, le istituzioni, la cultura, la chiesa, le associazioni. La scuola ha sicuramente un ruolo determinante; essa deve domandarsi: chi educhiamo? Se c’è un punto comune per tutti è che il compito della scuola è quello di educare la persona: un essere unico e irrepetibile; c’è la necessità di “riaccendere desideri e speranze che lascino intravedere – pur nel nostro difficile tempo – la concreta affermazione di un nuovo umanesimo. C’è altresì la necessità, nella scuola delle nuove tecnologie, di non perdere di vista l’impianto pedagogico che poggia sulla lezione dei grandi padri della pedagogia del ‘900, Nell’attività di insegnamento, infatti, l’individuo non è un “cliente” ma “una persona” proiettata ad essere protagonista di se stessa; pertanto, come sosteneva Rogers, occorre una pedagogia non direttiva, nel senso che non deve essere il docente a cambiare l’alunno, ma è l’alunno che deve cambiare e formarsi mentre apprende.
9. Considerando la sua esperienza sindacale, quali sono le sfide principali che gli insegnanti devono affrontare oggi nel sistema scolastico italiano?
Nella scuola di oggi appare importante e urgente rivedere radicalmente il ruolo e la funzione dell’insegnante, il quale fa già tanto, ma è chiamato soprattutto a mutare la propria concezione della didattica, a rivedere la propria capacità di relazionarsi; il suo compito, direbbe Rogers, è quello di evitare un “apprendimento insignificante” e imposto dall’esterno e di provocare, invece, un “apprendimento significativo” che coinvolge l’esperienza e che nasce dai processi vitali profondi della persona. Il fine di ogni attività di insegnamento è dunque l’educazione della persona e la scuola ha il compito di provvedere alla sua formazione, che non dovrà essere esclusivamente umanistica ma dovrà superare la divisione tra discipline umanistiche e tecnico-scientifiche lungo un itinerario curricolare che faccia seguire ad un corso di base un corso di orientamento verso scelte di vita mature e culturalmente definite.
Se “chi educhiamo” è una persona, occorre ritornare a riflettere sulla visione che il docente della scuola di oggi ha dell’apprendimento degli allievi. L’apprendimento, in questo quadro di personalismo pedagogico, deve diventare un processo che produce nello studente un cambiamento nel modo di pensare, agire e operare relativamente stabile, in quanto coinvolge sia l’ambito ideazionale(si apprendono concetti, idee, strutture, valori), sia il campo affettivo(si apprendono atteggiamenti valoriali, gusti, si formano inclinazioni, pregiudizi, ), sia l’ambito motorio, poiché si apprendono abilità, gesti, espressioni e tratti esteriori.
La scuola può raggiungere il suo obiettivo di educare istruendo solo quando si dimostra capace di determinare negli studenti il passaggio da un “apprendimento meccanico” , che avviene allorché l’allievo lascia ai margini i nuovi contenuti acquisiti rispetto a quelli già in suo possesso non procedendo alla loro ristrutturazione, ad un “apprendimento concettuale”, caratterizzato dalla capacità dello studente di comprendere il significato di un fatto, di dare soluzione ad un problema, di fare sintesi e di saper fare una operazione di induzione e deduzione, e, altresì, ad un “apprendimento significativo”, che avviene quando l’allievo comprende e collega i contenuti che acquisisce con quelli in suo possesso, operando una riorganizzazione cognitiva autonoma e in grado di avvertirne consapevolmente la pertinenza e la proiezione sul suo itinerario formativo.
10. Come intellettuale impegnato nella promozione culturale, quali strategie suggerirebbe per avvicinare i giovani alla poesia e alla letteratura nell’era dei social media e dei contenuti brevi?
Una strategia è questa: recuperare il ruolo della letteratura e della poesia nella scuola. Lo stesso Papa Francesco in una sua lettera ha affermato che la letteratura ha “a che fare, in un modo o nell’altro, con ciò che ciascuno di noi desidera dalla vita”, e ancora: “Nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore”.
Nella mia lunga esperienza sento che la poesia mi cerca e mi vive, non per fare l’ acrobata della parola, una sorta di paroliere, un tecnico di scrittura creativa con lo scopo di captare il consenso, dove la vita è tutta una finzione, nel senso di costruzione della mente. La mia poesia parla alla mente e al cuore, non è un esercizio di fariseismo imbellettato di nuovi sperimentalismi e spettacolarizzazioni pur di captare il lettore; in tal caso cadrei nella retorica che non può che far male alla poesia stessa. Io credo in una poesia “ri-creatrice con una visione soteriologica ed ontoetica” capace di umanizzare l’uomo dal di dentro, nonchè di innovare sul piano del linguaggio restando fedele all’umanesimo classico.
*Domenico Pisana , teologo con Dottorato in teologia Morale, poeta, giornalista – scrittore, è fondatore e Presidente del Caffè Letterario Quasimodo di Modica. Ha pubblicato 11 libri di poesie, 12 testi di critica letteraria; 13 testi di carattere etico – teologico, 3 volumi di carattere storicopolitico. E’ stato ospite in importanti Festival Internazionali(Bosnia, Instabul, Madrid, Matera, Zacinto in Grecia, Firenze, Milano ), e sue opere sono tradotte in inglese, francese, spagnolo, turco, rumeno, polacco, russo, macedone, albanese , serbo, arabo. Ha intrapreso rapporti con il mondo arabo e l’Egitto ove di recente è stato ospite dell’Università Badr in Cairo come relatore e per la presentazione di due suoi libri.
Tra i sui oltre 40 premi nazionali e internazionali e riconoscimenti si segnalano:
Medaglia d’Argento per la valorizzazione dell’arte e della cultura, conferita dall’Accademia Italiana
“Gli Etruschi” di Vada (Livorno),1988; Medaglia d’oro del “Premio alla Modicanità”,2006; Medaglia d’oro alla carriera, ricevuta dal Centro Lunigianese di Studi Danteschi, 2022; Medaglia d’argento alla carriera per i 35 anni di attività giornalistica, 2020; Premio letterario alla cultura “Naji Naaman”, ricevuto in Libano, 2021; Premio “Roma Award of Outstanding Personality”, ricevuto a Zacinto in Grecia il 28 agosto 2023; Premio alla cultura ricevuto il 22 febbraio 2024 dalla Provincia Regionale di Ragusa e Comune di Ragusa; Riconoscimento di Accadamico ad honorem dell’Accademia delle Arti e delle Scienze Filosofiche di Bari, 19 ottobre 2024.
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