Ogni volta che pronuncio la parola “antifascismo”, mi sento addosso uno sguardo sospetto. Vengono subito tracciate linee di confine ideologiche, come se l’impegno civile potesse essere racchiuso in un casellario politico. No, non sono un comunista. Sono semplicemente una persona che crede fermamente nei valori della democrazia, della libertà e del rispetto dei diritti umani.
L’antifascismo non è un’etichetta, non è un’appartenenza partitica. È una scelta etica, un impegno morale che nasce dalla consapevolezza storica e dall’urgenza di difendere la dignità umana. Quando denuncio le derive autoritarie, quando mi oppongo alla retorica dell’esclusione, quando grido contro l’ingiustizia, non lo faccio per fedeltà a un’ideologia, ma per fedeltà a principi universali.
La mia battaglia non ha colore politico. Ha il colore della memoria di chi ha sacrificato la vita per liberarci dall’oppressione, ha la forza di chi ha resistito, ha la determinazione di chi crede che la democrazia sia un bene prezioso da difendere ogni singolo giorno. Non sono disposta a permettere che questa parola – antifascismo – venga svuotata, banalizzata, ridotta a uno slogan o peggio, criminalizzata.
Oggi, l’antifascismo significa vigilare. Significa non accettare passivamente leggi che comprimono le libertà, non voltare lo sguardo di fronte alle ingiustizie, non permettere che si normalizzi il linguaggio dell’odio. Significa riconoscere i primi segnali dell’autoritarismo e opporsi con ogni mezzo democratico.
Non sono una militante, sono una cittadina. Non seguo una bandiera, seguo la mia coscienza. E la mia coscienza mi impone di gridare “no” quando vedo minacciati i diritti umani, quando vedo calpestata la dignità, quando vedo il silenzio diventare complicità.
Chi mi accusa di essere comunista non ha compreso che l’antifascismo è l’essenza stessa della democrazia. Non è una posizione politica, è un principio universale. È la convinzione che ogni essere umano abbia diritto al rispetto, alla libertà, alla giustizia.
La mia trincea non è ideologica. È fatta di parole, di impegno civile, di resistenza quotidiana contro ogni forma di oppressione. Sono un’antifascista. E ne vado fiera.
Sono una giornalista. Non scrivo per profitto, non sono portatrice di bandiere ideologiche, né servo alcuna fazione politica. Il mio unico intento è quello di raccontare la verità, di analizzare la realtà e di invitare i lettori a riflettere, non sulla base di pregiudizi, ma di fatti.
Essere antifascisti non significa essere comunisti. Significa, semplicemente, essere democratici.
Essere Antifascisti è un atto di responsabilità civile, un dovere verso la storia e verso chi ha sacrificato la propria vita per liberarci dall’oppressione. La memoria della Resistenza e della Liberazione non è un cimelio da rispolverare una volta all’anno: è una lezione che dobbiamo portare con noi ogni giorno.
Viviamo in un’epoca in cui il rischio di derive autoritarie non è un lontano ricordo del passato, ma una concreta minaccia. Le leggi liberticide proposte o approvate dal governo attuale, come il tentativo di limitare il diritto di manifestare o di comprimere la libertà d’espressione, sono segnali che non possiamo ignorare. La politica del terrore contro i migranti, la retorica dell’odio verso il diverso e il silenzio assordante di fronte alle atrocità che avvengono a Gaza ci rendono complici, non spettatori. E se un governo si permette di liberare un assassino libico, calpestando ogni principio di giustizia, dobbiamo chiederci: dove stiamo andando?
Ogni volta che accettiamo la narrativa che riduce l’antifascismo a un’appartenenza politica, rinunciamo al nostro ruolo di cittadini consapevoli. La politica, non è materia di pochi eletti: è responsabilità di tutti. È il terreno su cui si costruisce il nostro futuro, ed è nostro dovere vigilare affinché sia un futuro di libertà e dignità per tutti.
La Giornata della Memoria non è solo un rito: è un momento per guardarci allo specchio e chiederci cosa stiamo facendo per onorare chi ha combattuto per la nostra libertà. Non possiamo voltare le spalle al passato né chiudere gli occhi sul presente. Essere antifascisti oggi significa difendere i diritti umani, denunciare le ingiustizie e costruire una società più giusta. Non è una questione di destra o sinistra: è una questione di coscienza.
Io sono antifascista. Non perché sia comunista, ma perché credo nella democrazia, nella giustizia e nella libertà. Scrivo queste parole con la speranza che scuotano le coscienze, che invitino a riflettere, che spingano a un’azione collettiva. Perché il silenzio è il più grande alleato dell’oppressore. E io, come molti altri, ho scelto di non tacere.
Direttore Responsabile