1) La cultura della giurisdizione e lo stato indipendente della magistratura.
Il PM è la parte pubblica. Tenuta a cercare anche prove a favore dell’ indagato, nell’ esclusivo interesse di verità e giustizia.
Questo è ciò che definiamo ” cultura della giurisdizione” che è altra cosa rispetto all’ accusa pura e semplice, ma che significa ricerca disinteressata della verità.
Molte volte in aula il PM si alza e chiede l’ assoluzione.
Mai ho sentito un avvocato alzarsi e chiedere la condanna del suo cliente.Non potrebbe mai farlo, per ragioni di etica professionale.
È quindi utile che il PM conservi formazione e ” status” tipico del magistrato, che non diventi un ” superpoliziotto” votato solo alla accusa.
Anche perché il nostro timore è che differenziare le carriere sia solo il primo passo per togliere al PM quello status “autonomo ed indipendente” tipico dei magistrati, che li garantisce dalle ingerenze del potere politico.
Provate ad immaginare un PM che, perduto lo status di magistrato, dovesse rispondere al potere politico.
Questo potrebbe decidere quali reati perseguire, chi indagare e chi no.
2) Inesistenza del problema sollevato per giustificare la separazione.
Sono in magistratura dal 1986 e non ho mai visto un giudicante condannare qualcuno perché il PM è un suo collega.
Sono invece frequenti le assoluzioni o il rigetto delle richieste di misura cautelare. Ogni giorno capita di andare di contrario avviso alle istanze del PM.
3)Allora ci si chiede qual sia la vera finalità della riforma, ed il pensiero fatalmente corre al continuo tentativo della politica di sottrarsi al controllo di legalità, di delegittimare i giudici che si permettono di perseguire il politico di turno.
Ne consegue il legittimo sospetto che separare i magistrati, per indebolirli e controllarli meglio, sia allora il fine reale della riforma Nordio.
*Presidente sezione penale tribunale di Benevento