La recensione del Direttore Daniela Piesco

“Itaca – Il Ritorno” si rivela un’opera di straordinaria attualità che, attraverso il filtro del mito omerico, ci consegna una riflessione dolente e necessaria sulla natura devastante della guerra. La scelta di Uberto Pasolini di spogliare il racconto degli elementi fantastici per concentrarsi sulla dimensione umana del reduce si rivela quanto mai pertinente nel contesto geopolitico contemporaneo.

Ralph Fiennes plasma un Ulisse profondamente contemporaneo, un veterano segnato dal disturbo post-traumatico da stress che potrebbe essere tornato dall’Ucraina, da Gaza, o da qualsiasi altro teatro di guerra del nostro tempo. La sua performance ci ricorda che, al di là delle motivazioni geopolitiche e delle narrazioni eroiche, ogni conflitto produce esseri umani spezzati che faticano a ricostruire la propria identità e a ritrovare il proprio posto nel mondo.

Particolarmente toccante è il modo in cui il film esplora il concetto di “vittoria”. L’Ulisse di Fiennes, formalmente un vincitore della guerra di Troia, torna a casa come un uomo profondamente sconfitto, alienato dalla sua stessa famiglia. È un paradigma che risuona fortemente con la realtà dei conflitti moderni, dove anche le cosiddette “vittorie militari” si traducono invariabilmente in tragedie umane di proporzioni devastanti.

La presenza di Juliette Binoche nel ruolo di Penelope aggiunge un ulteriore livello di complessità alla narrazione, evidenziando come i traumi della guerra si ripercuotano non solo sui combattenti, ma anche su chi resta ad aspettare. La sua interpretazione ci ricorda le migliaia di famiglie che oggi, dai territori di guerra di tutto il mondo, attendono il ritorno dei propri cari, spesso destinati a ritrovarsi stranieri quando finalmente tornano a casa.

Il film risuona con particolare intensità in un momento storico in cui assistiamo a molteplici conflitti simultanei che sembrano replicare gli stessi schemi di violenza e distruzione. La scelta di Pasolini di concentrarsi sulle conseguenze psicologiche e relazionali della guerra, piuttosto che sulla sua spettacolarizzazione, offre uno spunto di riflessione cruciale sulla natura ciclica e autodistruttiva dei conflitti armati.

La regia contemplativa e minimalista amplifica il senso di isolamento e alienazione, creando un parallelismo potente con l’isolamento psicologico vissuto dai veterani di guerra contemporanei. Ogni inquadratura sembra sussurrare una verità scomoda: la guerra non produce mai veri vincitori, solo diversi gradi di perdita e trauma.

“Itaca – Il Ritorno” si erge così come un potente monito contro la retorica bellica che ancora oggi viene utilizzata per giustificare conflitti e aggressioni. Nel raccontare il ritorno di un singolo soldato, il film parla in realtà di tutti i reduci di tutte le guerre, passate e presenti, ricordandoci che dietro ogni statistica di guerra si nascondono storie di vite frantumate e famiglie spezzate.

In un’epoca in cui la guerra sembra essere tornata ad essere considerata uno strumento “accettabile” di politica internazionale, “Itaca – Il Ritorno” ci ricorda con forza che il vero costo dei conflitti non può essere misurato solo in termini di territori conquistati o persi, ma deve essere valutato nell’impatto devastante e duraturo sulla psiche umana e sul tessuto sociale delle comunità coinvolte.

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