L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

Il “Caso Almasri” si rivela non solo una questione di giustizia internazionale, ma anche un’illuminante lente d’ingrandimento sulle dinamiche interne del governo italiano. Questo evento si configura come una vera e propria pantomima, dove i ruoli sono fluidi, le responsabilità nebulose, e la verità sembra essere l’ultima delle priorità.

Un Palcoscenico di Accuse e Contraddizioni

La vicenda di Najeem Osama Almasri Habish, comandante della polizia giudiziaria libica accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, si apre con il suo arresto in Italia e si evolve rapidamente in una serie di scaricabarile tra le istituzioni1. I ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi si sono presentati davanti al Parlamento per “ricostruire e giustificare” una decisione che ha scatenato un’ondata di critiche. La loro difesa si concentra su presunte anomalie nel mandato di arresto internazionale e sulla correttezza del rimpatrio di Almasri con un aereo di Stato, una pratica definita come non senza precedenti.
Parallelamente, emerge un’inchiesta che vede coinvolti Giorgia Meloni e i suoi bravi indagati per favoreggiamento e peculato. Questa indagine getta un’ombra ancora più scura sulla gestione del caso, alimentando il sospetto che la liberazione di Almasri sia stata il risultato di calcoli politici piuttosto che di un’applicazione imparziale della legge.

Il Teatro dell’Assurdo e la Mistificazione della Storia

La vicenda Almasri si presta a una lettura in chiave di “teatro dell’assurdo”, un genere che decostruisce la realtà, alienandola dal suo contesto originale. In questo contesto, le istituzioni italiane sembrano impegnate in una performance dove la mistificazione della storia è l’obiettivo primario.
La logica stringente e consequenziale degli eventi viene meno, sostituita da un flusso di dichiarazioni e smentite che confondono lo spettatore. I personaggi coinvolti sembrano agire senza una reale consapevolezza delle conseguenze delle loro azioni, riflettendo la perdita di senso e di significato che caratterizza il teatro dell’assurdo.

La Dissoluzione dell’Io e la Centralità della Forma

Nel “teatro dell’assurdo”, l’io narrante o il personaggio intimo dell’opera è spesso disintegrato, quasi omesso. Allo stesso modo, nel caso Almasri, sembra che le responsabilità individuali si dissolvano in un sistema complesso e opaco. L’attenzione si sposta dalla sostanza dei fatti alla forma, alle procedure, alle giustificazioni legali, in un tentativo di nascondere le reali motivazioni dietro le decisioni prese.
I ministri Nordio e Piantedosi, ad esempio, si concentrano sulle “incongruenze” e sugli “errori” della Corte dell’Aja, piuttosto che affrontare le accuse di crimini contro l’umanità mosse ad Almasri. Questa strategia retorica sposta il focus del dibattito, trasformando la vicenda in una questione di forma piuttosto che di sostanza.

Le Vittime Silenziose e l’Assenza di Catarsi

In questo dramma, le vittime delle presunte torture di Almasri rimangono sullo sfondo, figure silenziose la cui sofferenza sembra non trovare spazio nel dibattito pubblico. La denuncia presentata da una vittima di torture contro il governo italiano per favoreggiamento è un grido di dolore che rischia di essere soffocato dalla pantomima politica.
A differenza della tragedia classica, dove la catarsi finale purifica lo spettatore attraverso la compassione e la paura, nel caso Almasri non c’è alcuna redenzione, nessuna risoluzione. Lo spettacolo continua, lasciando il pubblico con un senso di frustrazione e di impotenza di fronte a un sistema che sembra incapace di rendere giustizia.

Un’Opera Aperta

Il “Caso Almasri” si configura come un’opera aperta, un dramma senza fine dove i colpi di scena sono all’ordine del giorno e la verità rimane un miraggio. In questo teatro dell’assurdo, il governo italiano sembra aver smarrito la bussola, privilegiando la difesa del proprio operato rispetto alla ricerca della giustizia e alla tutela dei diritti umani

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