Martin Heidegger ha dichiarato: “Il linguaggio è la casa dell’essere e nella sua dimora abita l’uomo”. Che tipo di uomo abita nel linguaggio usato dai leader dell’opposizione durante l’informativa sul caso del generale libanese Almasri che è stata trasmessa in diretta TV qualche giorno fa? Da una prospettiva sociolinguistica, ho trovato interessante il ricorso a un linguaggio in stile fiabesco, che sia un nuovo modo di fare comunicazione sul piano politico? Matteo Renzi ha espresso il proprio parere sul comportamento di Nordio e Piantedosi definendoli il gatto e la volpe con cenno al romanzo Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi, mentre sul Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che “vuole fare la fatina, ma fa l’omino di burro”, ritorna alla memoria il racconto “Gli uomini di burro” presente nel libro Favole al telefono di Gianni Rodari.
E, poi, Elly Schlein usa l’espressione Presidente del coniglio per indicare il comportamento della Premier, si potrebbe ipotizzare un riferimento al romanzo Alice nel Paese delle meraviglie di Lewis Carroll? I politici creatori della versione 2025 del Devoto Oli? O più verosimile un modo di comunicare pensato ad hoc per essere accessibile e comprensibile a un target di persone il più vasto possibile?
In altre parole, far giungere il proprio messaggio a ogni fascia di pubblico indipendentemente dal livello socio-culturale. I politici la sanno lunga, in un confronto dialettico nemmeno i migliori retori ateniesi saprebbero usare cotanta sottile eloquenza.
Ė innegabile che negli ultimi anni il linguaggio utilizzato dai politici ha subito un’evoluzione significativa, condizionata da fattori culturali, sociali, economici e tecnologici. Questo fenomeno si rivela mediante l’adozione di espressioni più informali, l’uso di slogan brevi e incisivi e un approccio comunicativo diretto grazie ai differenti social network.
Tale trasformazione linguistica necessita di un’analisi approfondita per comprenderne gli effetti nella sfera pubblica e nel rapporto tra cittadini ed enti istituzionali.
In primis, l’uso di uno stile di espressione sempre più informale rispecchia un cambiamento nelle aspettative del pubblico. Il cittadino si aspetta che i politici parlino con un linguaggio accessibile, lontano dall’ ampollosità accademica e dalle frasi articolate che caratterizzavano i discorsi del passato. I leader politici, che hanno orecchie ovunque, pare abbiano colto le esigenze del popolo, e tendono sempre più a usare un linguaggio colloquiale, intriso di termini famigliari e prossimi alla vita di ogni giorno.
Da mirabili strateghi della comunicazione, i politici mirano a creare un senso di autentica vicinanza, cercando di stabilire un rapporto empatico con il proprio pubblico.
Un altro fenomeno che ha catturato la mia attenzione riguarda la personalizzazione della comunicazione politica, nel senso che, oggi, i politici non si limitano a presentare programmi o idee ma si spendono per costruire un’immagine personale che possa fissarsi nella mente della gente. Ecco, allora, che ognuno a suo modo diventa storyteller di se stesso, raccontando storie e aneddoti curiosi o patetici. Elementi studiati a tavolino allo scopo di umanizzare la figura del politico e a distaccarla dal sistema formalista. In aiuto arriva il brand designer, l’esperto che crea il brand politico e il linguaggio gioca un ruolo fondamentale nell’identità e nella percezione dell’individuo da parte del pubblico.
A mio parere, ogni evoluzione sotto il profilo linguistico-cointeressanti rivela interessante, ma cruciale è rimanere con i piedi ben piantati per terra, perché se da un lato è positiva la vicinanza e la semplicità del linguaggio politico, pur non tralasciando la caratteristica di apparenza, dall’altro non deve mascherare l’importanza del contenuto e della comprensibilità nella comunicazione. Non va dimenticato che la democrazia si nutre di un confronto consapevole e profondo, per tale ragione, ogni politico deve sempre tenere a mente il valore di una comunicazione seria e attendibile.
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