Era caduta dal nido, la piccola cornacchia, era avvolta nell’erba alta e fu la mia piccola cagnolina Minou a trovarla.
Aveva ancora le piumine bianche e un enorme becco spalancato che chiedeva cibo, solo che, a parte qualche insetto e un pochino di carne cruda, non avevo idea di come fare a placare la sua fame permanente.
A quel tempo, ero custode in una ditta e mi venne in aiuto un ragazzo che vi lavorava, dandomi del mangime per i merli.
Così, la piccola cornacchia a cui avevo dato il nome di “Scurnacchietta”, crebbe in un batter d’occhio ed iniziò a fare i suoi progressi, proprio come un bambino.
I suoi primi passi sulle zampette e i suoi primi tentativi di volo, dal tavolino a terra e viceversa, sbattendo le ali come a gioire di ogni piccola conquista, fino al giorno in cui si sentì pronta.
So di persone che hanno allevato una cornacchia e che, per non farla andare via, le avevano tagliato alcune piume atte al volo, ma io non lo feci, non mi sembrava giusto privarla del più bel dono che le aveva fatto la natura, quello di poter volare.
Così, un giorno, dal davanzale della finestra, aprì le sue bellissime ali e spiccò il volo,fece un largo giro, si posò su di un ramo e poi tornò a casa.
Le cornacchie non hanno una buona reputazione ma ho avuto l’opportunità di constatare che sono animali straordinari, dotati di una intelligenza stupefacente.
Crebbe con me quella ladruncola dispettosa, impertinente, irriverente, divertente, adorabile Scurnacchietta e posso assicurare che fu un’esperienza davvero unica che mi resterà sempre nel cuore.
Gli animali non sono nostra proprietà, sono compagni di viaggio che ti amano senza poterlo dire a parole, con loro devi interagire e loro risponderanno dimostrando così il loro affetto incondizionato.
Aveva stretto un’amicizia particolare con il mio cane Botolo, si scambiavano coccole sul divano e facevano gare di corsa nella piccola pineta dietro casa, un vero e proprio slalom tra gli alberi, lei volava sopra la sua testa a tutta velocità, poi si appoggiava ansimante sullo stendino prima di riprendere il gioco.
La sera, faceva la passeggiata insieme a noi, non volando ma camminando e quando, salite le scale si trovava il cancelletto chiuso, pur potendo passare tranquillamente tra una sbarra e l’altra, voleva che le fosse aperto ed entrava con l’aria trionfale di una diva sul red carpet.
Aveva una vera passione per le stringhe delle scarpe, se non facevo il doppio nodo, me le slacciava e lo faceva pure con i visitatori se indossavano scarpe da tennis, aveva pure, purtroppo, una passione per la carta da parati dalla quale toglieva striscioline quando voleva farmi dispetto, oppure, semplicemente voleva la mia attenzione, fortunatamente la carta era in tinta unita e non si notavano le sue “opere d’arte”.
Era pulitissima, faceva regolarmente il bagnetto nella ciotola per l’acqua del povero Botolo e poi andava a completare la toeletta al sole sul tetto dell’edificio di fronte.
Il suo divertimento preferito? Fare voli radenti sulla testa delle povere impiegate che uscivano dagli uffici e poi, tutta compiaciuta per averle spaventate, faceva festa con piccoli saltelli ad ali aperte.
Dormiva su un trespolo che avevo fatto per lei, in casa, quando dormiva non metteva la testa sotto l’ala ma spesso lo faceva con il becco aperto e…. russava!
A volte era ladruncola, rubava il cibo dalle ciotole dei cani e, quando cucinavo, era per me un esercizio da giocoliere per impedirle di rubacchiare, ricordo di una volta in cui stavo cucinando delle piccole fettine impanate.
Avevo messo dei tovaglioli di carta sul fondo di un contenitore con il coperchio ad incastro perché il coperchio normale, per lei non era un ostacolo, iniziò a girare intorno al recipiente studiando il modo di aprire quel maledetto coperchio e, alla fine, si accorse di un lembo di tovagliolo che usciva, così, lo afferró con il becco e facendo leva fece saltare il coperchio, afferró una fettina e volò chissà dove a mangiarla in santa pace.
Però mi aiutava quando mi mettevo a stirare, sistemava alla perfezione l’indumento posto sull’asse tirandolo col becco da ogni parte, e poi, c’erano le coccole e le piccole dimostrazioni di affetto.
Quante ne avrei da raccontare su quella piccola tiranna, potrei riempire le pagine di un libro, peccato che allora non c’erano ancora i cellulari e non potevi fotografare ogni cosa in qualsiasi momento.
Ma un giorno d’autunno, decise che era giunto il tempo di vivere la sua vita.
Ero seduta al tavolino sul balcone e stavo sfogliando un giornale, lo riparavo con la mano perché a lei piaceva tanto strappare la carta e, ad un tratto, mi afferró un dito con la sua zampetta, stringeva forte fissandomi intensamente, durò un paio di minuti, poi volò via e non tornò più, solo ogni tanto veniva a salutare posandosi sul tetto di fronte.
È stata un’ esperienza unica e irripetibile, uno di quei doni belli che ogni tanto ti può offrire la vita e dal quale ho imparato qualcosa.
Lei mi ha insegnato a guardare il cielo, ad amare quella cosa splendida che è il volo degli uccelli, il loro dispiegare le ali, simbolo da sempre della libertà assoluta.
Mi sono ricordata di lei proprio oggi, quando dopo la pioggia si era formato uno stupendo arcobaleno il cui arco completo attraversava tutto il cielo, con tutti i colori dell’iride nitidi e splendidi…… Ma sembrava che lo vedessi solo io, non ho visto nessuno alzare gli occhi per godere di quello splendore, gli occhi bassi occupati a guardare i loro gesti, senza sapere cosa si stavano perdendo.
Ph Letizia Ceroni