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L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

L’Italia si trova ancora una volta al centro di un dibattito cruciale sui diritti democratici fondamentali. La recente dichiarazione del ministro Piantedosi sulla mancanza di “copertura legislativa” per il voto fuori sede nel prossimo referendum solleva interrogativi profondi sulla reale volontà politica di garantire l’effettivo esercizio del diritto al voto a tutti i cittadini.

Il contrasto è stridente: da un lato, assistiamo a dichiarazioni d’intenti sull’importanza della partecipazione democratica; dall’altro, ci troviamo di fronte all’immobilismo legislativo che impedisce a 5 milioni di italiani di esercitare un diritto costituzionale fondamentale.

La situazione appare ancora più paradossale considerando che una proposta di legge sul voto fuori sede giace in Senato da 20 mesi, in un limbo legislativo che sembra non trovare fine. La sperimentazione condotta per le elezioni europee, limitata agli studenti fuori sede, ha registrato una partecipazione di 17.000 persone – un numero che viene ora utilizzato come pretesto per non procedere con l’estensione del diritto, quasi che i diritti fondamentali fossero subordinati a questioni di convenienza numerica.

L’anomalia italiana nel contesto europeo è lampante: siamo l’unico grande paese dell’Unione a non disporre di una normativa organica per il voto dei cittadini domiciliati fuori dalla propria residenza. Questa lacuna colpisce non solo gli studenti, ma anche lavoratori e persone che si spostano per cure mediche, creando di fatto una discriminazione basata sulla mobilità geografica.

La contraddizione tra le dichiarazioni governative di “costante impegno” contro l’astensionismo e l’assenza di azioni concrete rivela un problema più profondo: la distanza tra la retorica politica e l’effettiva tutela dei diritti democratici. Il governo, che ha il potere di proporre e sostenere iniziative legislative, sembra nascondersi dietro tecnicismi burocratici invece di affrontare una questione che riguarda milioni di cittadini.

La soluzione non può più essere rimandata: serve una legge che garantisca il diritto al voto dei fuori sede in modo permanente e inclusivo, non limitato a singole categorie o a sperimentazioni sporadiche. L’esperienza degli altri paesi europei dimostra che le soluzioni tecniche esistono e sono praticabili.

In un’epoca di crescente mobilità per studio, lavoro e cure mediche, l’impossibilità di votare fuori sede rappresenta un anacronismo che mina la partecipazione democratica e alimenta il fenomeno dell’astensionismo. Non si tratta solo di una questione di convenienza, ma di garantire l’effettivo esercizio di un diritto costituzionale fondamentale.

Il tempo delle scuse è finito. L’Italia deve allinearsi agli standard europei e garantire a tutti i suoi cittadini la possibilità di partecipare attivamente alla vita democratica del paese, indipendentemente dalla loro temporanea collocazione geografica. La democrazia non può permettersi zone d’ombra, soprattutto quando queste oscurano il diritto fondamentale di esprimere il proprio voto.

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