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L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

La soluzione a due Stati tra Israele e Palestina, un tempo considerata la via maestra verso la pace duratura, oggi appare come un miraggio sempre più distante. Eppure, nel 2008, ci fu un momento in cui l’intesa sembrò a portata di mano. La recente rivelazione della “mappa invisibile” dell’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert rappresenta un tassello storico fondamentale per comprendere quanto vicino – e al contempo quanto lontano – sia stato il Medio Oriente dalla risoluzione di un conflitto che continua a mietere vittime.

Anatomia di un’opportunità mancata

Il piano di Olmert era notevolmente dettagliato: prevedeva la cessione del 94% della Cisgiordania ai palestinesi, con Israele che avrebbe annesso solo il 4,9% del territorio, principalmente i grandi blocchi di insediamenti. In cambio, Israele avrebbe ceduto una superficie equivalente del proprio territorio lungo i confini con Gaza e Cisgiordania. La proposta includeva anche un tunnel o un’autostrada per collegare i due territori palestinesi, rendendo lo Stato geograficamente coeso nonostante la separazione fisica.

Particolarmente innovativa era la soluzione per Gerusalemme, città contesa per eccellenza: un sistema di amministrazione condivisa, con un comitato di fiduciari internazionale (Israele, Palestina, Arabia Saudita, Giordania e Stati Uniti) per la gestione del “bacino sacro”, comprendente la Città Vecchia con i suoi luoghi santi.

Le ombre sul negoziato

Il famoso incontro del 16 settembre 2008 tra Olmert e Abbas si concluse senza un accordo, nonostante il primo ministro israeliano implorasse il leader palestinese di firmare, avvertendolo che un’opportunità simile non si sarebbe ripresentata per i successivi cinquant’anni. Abbas rifiutò di impegnarsi seduta stante, insistendo sulla necessità di consultare i suoi esperti.

Ma il contesto politico già complicava le prospettive di successo. Olmert era invischiato in uno scandalo di corruzione e aveva annunciato le dimissioni. Come ricorda sarcasticamente Rafiq Husseini, capo dello staff di Abbas, i palestinesi consideravano Olmert un'”anatra zoppa” politica. Perché impegnarsi con un leader in uscita, il cui successore avrebbe potuto facilmente disconoscere l’accordo?

Occasioni mancate e responsabilità condivise

La storia del processo di pace israelo-palestinese è costellata di opportunità sfumate. La celebre frase del diplomatico israeliano Abba Eban secondo cui “i palestinesi non perdono mai un’occasione per perdere un’occasione” riflette una narrazione unilaterale che non coglie la complessità della situazione.

La realtà è che dal 1993, anno degli Accordi di Oslo, numerosi fattori hanno impedito un accordo duraturo: la radicalizzazione di entrambe le società, l’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, la frammentazione politica palestinese culminata con la scissione tra Fatah e Hamas, e l’assenza di pressioni internazionali costanti ed equilibrate.

Nel caso specifico del piano Olmert, è legittimo chiedersi se Abbas abbia effettivamente “perso un’occasione”. Un accordo con un primo ministro dimissionario avrebbe avuto valore vincolante per Israele? Le elezioni israeliane del febbraio 2009 portarono alla vittoria Benjamin Netanyahu, fermamente contrario allo Stato palestinese, rendendo plausibile lo scetticismo palestinese.

Il prezzo del fallimento

Il vero dramma di questa opportunità mancata si misura nelle conseguenze che ne sono seguite. L’Operazione Piombo Fuso a Gaza pochi mesi dopo, il progressivo consolidamento del controllo israeliano sulla Cisgiordania, l’ascesa di Hamas, e infine la tragica escalation culminata con gli eventi del 7 ottobre 2023 e la devastante guerra a Gaza.

La rivelazione della mappa di Olmert oggi assume quindi un significato quasi elegiaco: il documento di un’opportunità svanita, un promemoria di quanto la pace fosse tecnicamente possibile, ma politicamente irraggiungibile in quel preciso momento storico.

Una lezione per il futuro

La storia della mappa invisibile di Olmert ci insegna che la pace richiede non solo soluzioni tecniche dettagliate, ma anche il coraggio politico di entrambe le parti e un tempismo perfetto. Serve un allineamento di fattori che raramente si verifica: leader forti ma disposti al compromesso, opinioni pubbliche preparate alle concessioni necessarie, e un contesto regionale e internazionale favorevole.

La soluzione a due Stati rimane teoricamente la più equa, ma la sua implementazione appare oggi più distante che mai. Gli insediamenti in Cisgiordania sono aumentati esponenzialmente, Gaza è devastata, e la polarizzazione politica ha raggiunto livelli estremi su entrambi i fronti.

Eppure, la mappa di Olmert resta un documento prezioso: dimostra che una soluzione tecnica esiste, che i confini possono essere tracciati, che le questioni più controverse – come Gerusalemme – possono trovare risposte creative. Ciò che manca non è l’ingegneria territoriale, ma la volontà politica e il coraggio morale di perseguirla.

La pace in Medio Oriente continua a sfuggire non perché impossibile, ma perché richiede un prezzo che, finora, nessuna delle parti è stata disposta a pagare completamente. La mappa invisibile di Olmert, ora finalmente rivelata, è la testimonianza di quanto vicini – e al contempo lontani – siamo stati dal trasformare l’invisibile in realtà.

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