La poesia, nella sua essenza più profonda, non è mai stata solo un esercizio estetico o un’espressione intima di sentimenti personali. Attraverso i secoli, il poeta ha incarnato la figura del testimone, della coscienza critica, della voce che si eleva sopra il rumore assordante della storia per dare forma al dolore collettivo, all’indignazione, alla speranza di cambiamento.
Nel suo saggio “I poeti, voci nella «polis»”, Daniele Piccini ci ricorda questa dimensione fondamentale: la vocazione civile della parola poetica, il suo insopprimibile legame con la comunità. Quando Mario Luzi descrive il corpo di Aldo Moro come un “abbiosciato sacco di già oscura carne“, non sta semplicemente documentando un evento tragico della storia italiana, ma sta trasformando quel dolore in una ferita collettiva, in un monito che trascende il tempo e parla alla comunità intera.
Questo potere sovversivo della poesia risiede nella sua capacità di condensare in poche, folgoranti parole ciò che saggi politici o analisi sociali potrebbero impiegare pagine a spiegare. Quando Anna Achmatova, in fila davanti al carcere dove è rinchiuso suo figlio, risponde “Posso” alla domanda se sia in grado di descrivere quell’orrore, sta rivendicando non solo il suo diritto di testimoniare, ma sta assumendo su di sé il compito di dare voce a chi voce non ha.
La protesta poetica è paradossale: è insieme fragilissima e indistruttibile. Fragilissima perché affidata a parole che sembrano impotenti di fronte alla brutalità del potere, alla violenza delle armi, all’indifferenza dei più. Indistruttibile perché, come dimostrano i versi di Primo Levi, sopravvive ai regimi che vorrebbe mettere a tacere, penetra nel cuore delle generazioni future, diventa memoria e coscienza collettiva.
Oggi, mentre assistiamo a nuove forme di oppressione e violenza, da Gaza all’Ucraina, la poesia continua a svolgere questa funzione essenziale: non solo denunciare, ma “contribuire ad un uso umano della lingua”, come suggerisce Piccini. In un’epoca in cui le parole vengono continuamente svuotate di significato, manipolate, banalizzate, il gesto poetico diventa atto politico proprio nel restituire dignità e profondità al linguaggio.
Il verso che Piccini cita da Alessandro Bianchi, “mi strazia, come la mia, la vostra sorte“, non è solo un’espressione di empatia, ma una dichiarazione di responsabilità civile, un rifiuto della separazione tra il destino individuale e quello collettivo. La protesta poetica non si esaurisce nel grido di rabbia o nella denuncia esplicita: si realizza pienamente quando trasforma il dolore in bellezza senza tradirlo, quando rende visibile ciò che si vorrebbe nascondere, quando chiama per nome le ingiustizie che molti preferiscono ignorare.
In questo senso, l’invito di Piccini a riscoprire il legame tra poesia e polis non è solo una riflessione letteraria, ma un’occasione per riscoprire il potenziale sovversivo della parola poetica, la sua capacità di creare comunità, di riattivare la nostra umanità, di ricordarci che un altro mondo è ancora possibile. Perché, come insegna la grande tradizione civile della poesia, dai versi può nascere una coscienza nuova, e dalla coscienza, l’azione.
Forse, in un mondo che sembra sordo al grido degli oppressi, ciò di cui abbiamo più bisogno non sono nuove armi, ma nuovi poeti. Non perché la poesia possa fermare da sola le guerre o rovesciare i tiranni, ma perché nei momenti più bui della storia, quando tutto sembra perduto, un verso può essere l’ultima trincea dell’umano, il seme nascosto da cui, un giorno, rifiorirà la speranza. E allora, come suggerisce Piccini attraverso la sua riflessione, non chiediamoci se la poesia può cambiare il mondo, ma se il mondo potrebbe sopravvivere senza di essa – senza quella voce ostinata che, anche nel silenzio generale, continua a sussurrare: “Sono qui. Resisto. Testimonio.” E magari per ricordarci di continuare ad essere umani contro la disumanizzazione imperante, per riconnetterci con quella parte di noi che rifiuta di accettare l’orrore come normalità, che non si arrende alla banalità del male, che cerca ancora bellezza dove altri vedono solo cenere
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