L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco
In molti potrebbero pensare che quanto sta accadendo in Argentina sia solo un problema lontano, che non ci riguarda direttamente, un’aberrazione isolata in un Paese governato da un leader estremo come Javier Milei. Ma questa non è solo una questione argentina. Milei non è un leader qualunque, è un riferimento ideologico per una destra che si sta radicalizzando in tutto il mondo, è un alleato stretto di Giorgia Meloni, con cui condivide visione politica e strategie. Ciò che accade in Argentina potrebbe essere il laboratorio di ciò che potrebbe accadere anche in Europa, anche in Italia. E allora, dovremmo forse restare indifferenti? Accettare questa deriva come se fosse una faccenda altrui, come se la storia non ci avesse già insegnato cosa succede quando il linguaggio dell’esclusione diventa il linguaggio del potere?
La riforma dell’Agenzia Nazionale della Disabilità in Argentina, che introduce nuovamente termini come “idiota”, “imbecille” e “debole di mente” per classificare le persone con disabilità intellettive, è uno sfregio alla dignità umana. Questi termini, che evocano un passato di emarginazione, istituzionalizzazione forzata e privazione dei diritti, sono stati riportati in auge con disarmante noncuranza da un governo che si vanta di dire “le cose come stanno”, come se il progresso fosse solo una questione di linguaggio politicamente corretto e non di diritti, di rispetto, di civiltà.
Ma davvero possiamo credere che sia solo una questione di parole? Davvero possiamo illuderci che l’uso di certi termini non abbia un impatto sulla realtà? Le parole non sono mai neutre. Le parole creano visioni del mondo, legittimano pratiche, giustificano politiche. Definire le persone con disabilità come “idioti” o “imbecilli” non è solo un insulto, è un modo per ridurne lo status, per deumanizzarle, per aprire la strada a trattamenti discriminatori, esclusioni, marginalizzazioni.
E qui entra in gioco la riflessione politica. Se è accettabile in Argentina, quanto tempo ci vorrà prima che simili logiche si insinuino anche in Europa, anche in Italia? Il governo italiano ha già mostrato simpatia per le politiche di Milei, lo ha accolto con entusiasmo, lo ha elevato a modello. E non dimentichiamo che quando una cultura politica sposa l’idea che esistano persone “di serie A” e persone “di serie B”, quando si inizia a considerare alcune vite meno degne di rispetto, il passo successivo è sempre lo stesso: la restrizione dei diritti, l’erosione della dignità, la giustificazione di trattamenti discriminatori in nome dell’efficienza, del merito, dell’ordine sociale.
Questo è il momento di reagire. Non possiamo accettare che in un Paese democratico venga riproposto un linguaggio che appartiene ai peggiori periodi della nostra storia. Non possiamo accettare che la dignità delle persone venga ridotta a una questione di classificazione burocratica. Non possiamo accettare che si torni a un tempo in cui la disabilità non era vista come una condizione da sostenere e integrare, ma come un marchio di inferiorità.
Chi oggi resta in silenzio di fronte a questa vergogna, domani potrebbe trovarsi a dover giustificare il passo successivo. E il passo successivo quale sarà? Escludere le persone con disabilità dai percorsi educativi? Negare loro il diritto al lavoro? Decidere che alcuni non sono abbastanza produttivi per meritare assistenza?
Non si tratta solo di Argentina, non si tratta solo di Milei. Si tratta del futuro che vogliamo costruire. Si tratta di dire no a un modello di società che seleziona chi merita rispetto e chi no. Si tratta di difendere quei valori di uguaglianza, di giustizia e di inclusione che non possono essere sacrificati sull’altare della propaganda politica.
Se oggi non alziamo la voce, domani potrebbe essere troppo tardi.
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