Prefazione di Argos Scriba
Se siete stanchi del solito, ottimistico e talvolta melenso quadretto che in genere curatori di oroscopi e astrologi dipingono per illustrare le peculiarità dei singoli segni dello zodiaco, allora è il momento di leggere “Morte tra le Stelle”…
Un viaggio, un’esplorazione attraverso i meandri insidiosi del “lato oscuro” non solo della luna ma anche di tutti gli altri pianeti del nostro sistema solare.
Queste immanenti “entità” influenzano, secondo l’astrologia, in modo arcano ma determinante, la vita quotidiana di ciascuno di noi e persino il nostro destino ultimo.
Perché, come scrisse il grande scienziato e filosofo Albert Einstein:
“Tutto è determinato da forze
sulle quali non abbiamo alcun controllo…
Tutti danziamo al ritmo d’una musica misteriosa,
suonata in lontananza da un pifferaio invisibile”.
Se avessi avuto la pazienza di contare fino a 10…
di Mary Grace Ovedi
Se non fossi partito a testa bassa alla carica, se mi fossi soffermato un solo minuto, anzi solo 10 secondi, a riflettere, probabilmente non sarebbe accaduto.
L’istinto, come al solito, ha preso il sopravvento ed ha agito per me, velocemente, ripetutamente, senza controllo.Se solo avessi ponderato un poco, se solo avessi valutato meglio la situazione, mi sarei sicuramente comportato in maniera più appropriata.
L’aver cozzato contro un cadavere mi ha gettato in un terribile sconforto, in una depressione bloccante.I miei pensieri lineari, semplici e primari, si sono ingarbugliati, ed ora mi sento sovraccarico per questo inaspettato, contorto e intricato problema da risolvere.
Chiaramente non era un cadavere prima che io l’avessi ripetutamente colpito con una chiave inglese, ma l’istinto di farlo è stato così forte, così accecante, che a testa bassa, come un ariete, ho continuato a cozzare e a colpire ripetutamente fino a che inerme, quello che era un essere vivente, s’è trasformato in un cadavere.
La mia solerte attività ed il mio voltaggio interiore erano al culmine in quel momento ed io non mi sono neanche accorto di averlo fatto.Adesso sì, lo vedo quello che ho fatto e lo sento anche. Il mio corpo è privo di forze, sgonfio, apatico. L’esaltazione s’è smontata di colpo, gettandomi in uno stato di sconforto. Che fare adesso?
L’istinto frenetico, inarrestabile, mi toglie la terra sotto i piedi. Devo affrettarmi, devo nasconderlo, devo far sparire le prove! Adesso, subito!Ma sì è facile, lo toglierò di qui, lo trascinerò, lo nasconderò in un vicolo.
*. * .*. * .*
Ho la febbre. È salita rapida e inaspettata. È dovuta sicuramente allo stress e alla fatica di stasera. È stato pensante trascinare quel corpo, grande quasi il doppio di me, nel vicolo, per non parlare della frenesia e della fretta di venir via da quel luogo.
Questa febbre è lo sfogo di tutta l’esagitazione e l’attività di stasera. Non è certo un sintomo di rimorso o di colpa, perché io non ne ho.A ripensarci a freddo, lo riconosco, non meritava certo di morire quel ragazzone che mi ha assalito per rapinarmi del mio equipaggiamento, ma ormai è fatta, ormai è passato.Peggio per lui. Se l’è cercata, io mi sono solo difeso.
Certo, se fossi riuscito a contare almeno fino a 10, lo avrei solo stordito, ma la furia cieca e incontrollata mi ha tolto la cognizione del tempo e la razionalità, ed io ho continuato a colpire fino a maciullargli la testa.Il punto è che il potere, la supremazia, il dominare la situazione mi esalta, mi gratifica. Non sopporto soverchierie e non ci vado per il sottile quando mi ci scontro.
Sono un duro che non ha paura di farsi male. Quel ragazzone era il doppio di me, avrei potuto anche avere la
peggio, ma non ci ho neanche pensato perché sono un istintivo e adesso è inutile pensarci, ormai è passato e non ha alcuna importanza perché io ne sono uscito vincitore.Certo, mi ritrovo con un problemino, con un cadavere nel vicolo, ma in questo momento non ho assolutamente voglia di pensarci. Ho la febbre, sono esausto. Domani provvederò, domani mi verrà in mente qualcosa. Ora ho bisogno di riposo.
* . * . * . * . *
Mi sono appisolato per una decina di minuti e di colpo un pensiero, gigantesco, soffocante, pesante come la zampa di un elefante, mi ha tolto il respiro e mi ha fatto svegliare di colpo. E la mia mente ha cominciato a girare vorticosamente a 78 giri!
Santo cielo! Come ho potuto non pensarci!Come ho potuto abbandonare il cadavere maciullato di quello sconosciuto nel vicolo con accanto la mia chiave inglese!Perché non mi sono fermato a riflettere un minuto, che dico 10 secondi, prima di correre via come una furia, senza aver portato via con me la chiave inglese o almeno avere cancellato le mie impronte digitali?
Devo andare, subito, immediatamente. Devo porre rimedio, devo assolutamente fare qualcosa!Di sicuro il corpo non è stato ancora trovato perché, dopotutto, ho avuto l’accortezza di coprirlo con dei giornali che erano sparsi lì. La vista di tutto quel sangue mi ha indotto a coprirlo, ma ho agito d’istinto e non certo con razionalità!
L’ansia mi divora, devo arrivare in fretta, fare in fretta. Questo pensiero mi divora il cervello: ho lasciato le mie impronte digitali!Fa freddo, è tutto ghiacciato fuori. Stanotte la temperatura deve essere scesa di parecchi gradi.
Prendo al volo la giacca a vento, ancora insanguinata, dal divano dove l’ho gettata ieri sera, infilo gli scarponi da neve e mi precipito fuori, come una furia.Non ho tempo di riflettere e non mi sfiora neanche l’idea di quello che penseranno i vicini o chi mi incontrerà strada facendo. Il sangue sulla giacca a vento è un’inezia, non mi ci posso soffermare, ci penserò poi.
Il mio chiodo fisso è arrivare, subito, presto, immediatamente, nel vicolo.
Non ho idee, non ho un piano. Vedo solo la mia chiave inglese, macchiata di sangue, piena delle mie impronte digitali, accanto al corpo di quello sconosciuto.
Il mio chiodo fisso, la mia missione, il mio scopo è prenderla, toglierla da lì, gettarla lontano, distruggerla. E devo fare in fretta, prima che qualcuno la trovi, insieme al corpo.Urto scompostamente la gente che cammina ignara sui marciapiedi, che mi guarda stralunata ed impreca contro di me, ma non importa, nessuno mi fermerà, nessuno mi rallenterà.Ancora un poco e ci sarò. Il vicolo è vicino, subito dopo quell’ultimo caseggiato.
È diverso visto di giorno, con la luce del sole, sebbene la giornata sia plumbea. Ieri sera sembrava un luogo chiuso,
coperto, protetto. Oggi, invece, mi rendo conto che è aperto, è accessibile a tutti, è sotto gli occhi di tutti, se solo guardassero sotto i giornali.Qualcuno lo avrà già fatto? Posso solo augurarmi di no,mentre ormai corro con il fiatone per arrivare più in fretta.Sembra tutto tranquillo. Non ci sono assembramenti di persone. Sono fortunato. Nessuno si è accorto di nulla.Lascio la strada ed entro nel vicolo.È stretto e squallido. Disordinato, pieno di carte e di rifiuti.
Cerco frenetico quello per cui sono venuto e non mi sembra di orientarmi. Sarà la febbre che distorce i contorni e i ricordi. Dovunque è pieno di giornali e di cartoni. Non mi pareva che ce ne fossero così tanti ieri sera, ma forse è solo perché non ho perso tempo a guardarmi intorno.
Fa molto freddo, il ghiaccio ha imbiancato tutto ed ha indurito la carta che copre rigidamente quello che si nasconde sotto di essa.
Non mi resta che sollevare tutti questi fogli gelati di vecchi giornali e cartoni e trovarlo. È qui da qualche parte, ne sono certo, e con lui c’è la mia chiave inglese e le mie impronte digitali.Il fiatone, l’arsione della febbre, la frenesia, in contrasto con il freddo, sprigionano intorno a me una quantità considerevole d’alito caldo, affrettato e ansimante che mi rende visibile e udibile da lontano, ma non me ne preoccupo. Il ghiaccio scricchiola sotto i miei scarponi, ed io frugo, alla cieca, tra i cartoni e i giornali, sempre più ansioso di trovare quello che sto cercando e sempre più sordo, sempre più distaccato, sempre più isolato dal mondo che mi circonda, concentrato solo sul mio compito.
Non sento più il freddo, non sento più i rumori, non sento più niente, non vedo più niente.Vedo solo macchie di sangue sotto uno strato di ghiaccio e il mio entusiasmo sale alle stelle. L’ho trovato, l’ho trovato: il cadavere!La mia chiave inglese deve essere lì vicino, accanto al corpo. La prenderò e me ne andrò e nessuno mi potrà mai
ricollegare a questo corpo. Io non l’ho mai visto e conosciuto ed una volta scomparsa l’arma che ci lega, non avremo assolutamente nulla in comune. E ci potremo dire addio, sfortunato sconosciuto, finisce qui il nostro incontro, a non rivederci mai più!
Nella foga, nella esaltazione, mi rendo conto che qualcosa non va.
Non è solo la febbre, non sono solo le elucubrazioni mentali. È l’istinto che me lo dice: sta trascorrendo troppo tempo. La mia chiave inglese è grande e visibile, avrei dovuto già trovarla! Dov’è, dov’è?
Sono al culmine dell’esasperazione, tra il sangue congelato di uno sconosciuto, mucchi di vecchi giornali e cartoni, in pieno giorno, all’aperto, probabilmente alla mercé di sguardi indiscreti, ed io ho solo voglia di sbattere la testa al muro per sapere dov’è finita la mia chiave inglese, quando di nuovo la mancanza di forze, lo sconforto, cala su di me.
E vedo rosso, vedo sangue, barcollo, crollo.
Crollo sul cadavere ghiacciato di uno sconosciuto che ho maciullato a colpi di chiave inglese. E colpo dopo colpo qualcuno, dall’alto, infierisce su di me, sul mio corpo, sulla mia testa.
Mi fracassa la testa, con calma e precisione ed io lo so con che cosa! Riconosco la forma, l’odore: è stata la mia chiave inglese per tanti anni!
Poi, soddisfatto, la getta su di me, insieme ad un paio di guanti di pelle!
Nient’altro che uno sconosciuto per me, un vendicatore del vicolo probabilmente ma, devo riconoscerlo, dotato di freddezza e di cervello. Non come me!
Sto morendo, ma l’istinto mi spinge, in extremis, a fare quello per cui sono venuto: cancellare le mie impronte digitali. Mi possono incriminare!
Che fatica! Che dolore! Che fine infame!
Se solo avessi avuto la pazienza di contare fino a 10 tutto questo non sarebbe successo! Io non sono nemmeno schedato!
Perché non ci ho pensato?
pH Pixabay senza royalty