Era bello mio padre, si chiamava Angelo e si distingueva dagli altri per la sua carnagione bianca e non abbronzata e scura come quella dei suoi amici; “il farmacista” lo chiamavano, ma non era un farmacista bensì un panettiere e, lavorando di notte, non prendeva sole o almeno non come i suoi amici contadini e muratori.
Aveva una grande passione ed era la pesca, per lui il Ticino e i suoi pesci non avevano segreti, conosceva ogni anfratto di quel fiume, luoghi nascosti e non frequentati dove piccole polle di acqua sorgiva ne alimentavano le acque allora ancora limpide. Questa sua passione fu anche causa della sua disgrazia infatti, andando a pescare con bombe rudimentali costruite con l’incoscienza dei giovani che non pensano mai alle conseguenze, fu colpito da una scheggia e perse l’occhio destro.
Anche lui mi raccontava i suoi ricordi anche se non erano belli come quelli di mamma, forse era diversa la percezione dell’amore famigliare e di conseguenza anche i ricordi avevano tinte diverse; mi raccontava delle corse a piedi scalzi (non c’erano soldi per le scarpe e si dovevano consumare il meno possibile) e l’inverno con ai piedi gli zoccoli e di quando andava a giocare a pallone con gli amici e correva col fratellino aggrappato alle spalle perché nonna lavorava e lo affidava a lui.
Era molto intelligente, conservo ancora la “Menzione d’onore d’oro” che la scuola del regime assegnava agli alunni più meritevoli, purtroppo la sua famiglia non era agiata e, non potendo permettersi la divisa di Balilla, non era visto di buon occhio e non potè andare oltre la quinta elementare.
Il nonno Giacomino non era il suo vero padre e la vita con lui non era molto facile, era, a quanto mi raccontava, un filibustiere fornito di una notevole parlantina che amava vivere di espedienti, ironico, plateale, amava avere un pubblico da gestire; una volta, in una festa di paese, durante uno dei suoi spettacoli da imbonitore, atti alla vendita di non so quali articoli, riuscì a far vedere la Madonna a tutta la gente che gremiva la piazza.
Iniziò molto presto a lavorare nel prestìno come garzone e mi raccontava che, durante i preparativi per la festa del paese, quando le donne portavano l’oca al forno per farla cuocere lentamente e quindi recuperare il prezioso grasso che rilasciava durante la cottura, lui prendendone un cucchiaio da ogni teglia, riempiva un vasetto che gli dava nonna, così potevano avere la scorta di condimento ; a quei tempi, come condimento si usava più che altro il grasso animale ed era molto prezioso.
Lì al forno, almeno il pane non mancava mai e poteva saziarsi, così divenne forte e muscoloso. Nel fine settimana, coi suoi amici, si recava in bicicletta al paese vicino dove c’era la balera frequentata dalle mondine, e lì conobbe la mamma. Mi raccontò che una volta si era tinto i baffi biondi con la matita copiativa per farli sembrare neri; il problema fu che durante il tragitto a cavallo della sua “ Giberna” (la bicicletta), la nebbia sciolse l’inchiostro e giunse alla sala da ballo coi baffi viola.
E, anche nei suoi racconti, la povertà e le imposizioni del regime. Mi auguro di poter concludere la mia vita senza dover conoscerne le miserie anche se penso che il regime ci sia, non paragonabile al fascismo, certo….diciamo che ora è più…soft, meno diretto e impositivo quindi difficile da percepire; con le sue nefandezze travestite da ordine e democrazia, se ci guardiamo intorno, in questa parvenza di benessere ci sono famiglie ridotte alla fame, giovani senza futuro e anziani che sono costretti a misere vite ( com’è misera la vita negli abusi di potere…)
Da ragazzina, andavo con lui a pescare, mi piaceva tantissimo anche perché, grazie a questo, ero riuscita ad avere un rapporto bellissimo con lui, le mie amiche preferivano fare gruppetti ma io avevo il mio papà, la pesca di pesci e rane, i pomeriggi trascorsi in riva al fiume, in mezzo alla natura.
Imparai una cosa importante da lui, mi insegnò ad essere libera, di quella libertà che vive dentro di te e che nessuno può portarti via, in qualsiasi situazione ti possa trovare.
Ma, crescendo, la natura ha altre esigenze, non ci puoi fare niente, non ero più la sua bambina che lo seguiva ovunque, ero una ragazza che iniziò a lavorare, uscire, conoscere altre persone e anche i ragazzi e, all’improvviso si ruppe l’incanto, ero cambiata com’era logico che fosse ma lui non lo voleva accettare.
Ricordo, i suoi ultimi giorni, nel reparto cardiologia, sapevo che era al traguardo e lo sapeva anche lui.
Furono giorni che non dimenticherò mai, eravamo soli, lui ed io, si creò un’intimità che ci fece sentire così vicini, come quando andavamo a pescare insieme e lui era il mio fantastico papà, per una volta ancora tutto mio, fino al momento in cui chiuse gli occhi.
Ripercorrendo ora i miei ricordi, mi rendo conto di come il tempo passa senza sembrare che lo faccia.
Allora, quando ero bambina, sembrava che non passasse mai ma ora mi rendo conto che è volato via in un soffio portandosi con sé tutto: gioie, dolori, sensazioni, luoghi, abitudini, persone, paesaggi e case…niente sembra cambiato ma in realtà è cambiato tutto e te ne rendi conto quando ti assenti da un luogo per parecchio tempo, o quando i ricordi affiorano nella mente, a volte splendidi, a volte dolorosi ed ancora rivivi e senti quelle sensazioni, come se non fosse trascorso che qualche minuto.
Ph Letizia Ceroni