L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco
C’è una notizia che meriterebbe titoli a tutta pagina, ma che passa in sordina, soffocata tra cronaca politica e indifferenza: secondo l’ultimo rapporto della Civil Liberties Union for Europe, l’Italia è tra i cinque Paesi dell’Unione che stanno smontando lo Stato di diritto.
Siamo stati messi nero su bianco nella lista degli “smantlers”. E no, non è un’iperbole da talk show: è una denuncia documentata, un’allerta che dovrebbe far tremare i polsi a ogni cittadino che ancora crede nella Costituzione e nei principi dell’Europa democratica.
Eppure il Paese tace. O peggio, resta indifferente.
Nel mirino del rapporto ci sono atti precisi: proposte di legge che aumentano il controllo del potere esecutivo sulla magistratura. Minacce alla libertà di stampa, come il caso Scurati, zittito per un discorso antifascista ritenuto troppo scomodo dalla televisione pubblica. Giornalisti sanzionati per aver detto troppo. Scrittori isolati. Intellettuali ridicolizzati.
E poi l’attacco al Manifesto di Ventotene, compiuto dalla stessa Presidente del Consiglio, che oggi si permette di sminuire quello che è il documento fondativo della nostra civiltà europea. Un testo scritto nel 1941, in pieno fascismo, da uomini confinati perché credevano ancora nella libertà, nella pace, nella solidarietà.
Chi oggi attacca Ventotene non ha solo un problema con la storia: ha un problema con la democrazia.
Chi oggi attacca Ventotene rifiuta una memoria condivisa, e tenta brutalmente di riscrivere la storia. Lo aveva detto bene George Orwell in 1984, «Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato». Non è teoria: è prassi politica. L’indebolimento della giustizia, la censura, l’attacco al pensiero critico – sono tutti elementi di una regressione democratica
Ma questo, forse, non dovrebbe sorprenderci. Perché ogni nuovo autoritarismo nasce così: non con la violenza, ma col lento logoramento del pensiero critico. E se oggi qualcuno si ostina a dire che leggere è inutile, che i filosofi sono dei perditempo, che l’arte non serve, chiediamoci allora perché i regimi iniziano sempre bruciando libri e imbavagliando scrittori.
Se i libri fossero davvero inutili, nessuno avrebbe paura che vengano letti.
La verità è che l’arte, la letteratura, la filosofia sono pericolose. Perché insegnano a pensare, a dubitare, a distinguere tra potere e giustizia, tra ordine e oppressione. 1984 non è solo una distopia, è uno specchio. La Cecità di Saramago non è solo un romanzo: è una diagnosi di questo presente. Viviamo in un’epoca in cui si vede tutto e si capisce poco. In cui si è “informati” ma disarmati. In cui la democrazia si smonta mentre ci dicono che tutto va bene.
Ma non va bene per niente.
Attaccare i giudici non è governare: è intimidire.Zittire i giornalisti non è pluralismo: è censura.Minare la memoria antifascista non è libertà di pensiero: è una riscrittura vigliacca della storia.
E lo smantellamento non avviene da un giorno all’altro. Avviene un decreto alla volta. Una riforma alla volta. Una censura alla volta. È il potere che, come diceva Pasolini, non reprime più, ma seduce. Ti convince che in fondo non è niente. Che sono solo parole. Che non è “come prima”. Ma la Storia, quella vera, sa riconoscere i segnali. E noi li stiamo ignorando tutti.
Chi guarda con disprezzo alle materie umanistiche, chi liquida arte, libri e pensiero critico come passatempi inutili, dovrebbe avere il coraggio di spiegare perché, allora, ogni potere autoritario ha sempre cominciato da lì. Perché Hitler bruciava libri e quadri. Perché Mussolini riscriveva i testi letterari e piegava l’arte romana a strumento di propaganda. Perché l’ISIS cancellava la memoria archeologica di intere civiltà. Perché i talebani facevano esplodere i monumenti pre-islamici. Perché si arriva perfino a bruciare biblioteche con le persone dentro.
Se la lettura fosse tempo perso, nessuno la temerebbe. E invece i libri fanno paura. Perché formano. Perché risvegliano. Perché insegnano a resistere.
Van Gogh non è solo i girasoli. È anche la Ronda dei carcerati, un grido muto sull’alienazione e la prigionia dell’anima. Orwell, con 1984, non ci ha offerto un racconto distopico, ma una profezia in codice: «La libertà è la libertà di dire che due più due fa quattro». Quando la verità diventa negoziabile, la libertà muore.
Il Dottor Živago, di Boris Pasternak, racconta un amore nel tempo dell’esilio. E oggi non siamo forse in esilio da noi stessi? Dalla nostra coscienza democratica? Dalla capacità di indignarci?
Platone, nella Repubblica, costruiva la città giusta. Noi la stiamo decostruendo. E non con un’esplosione, ma con un decreto alla volta. Una censura alla volta.Tommaso Moro immaginava un’isola senza conflitti. Oggi, invece, rischiamo di trasformare la nostra isola in una solitudine collettiva, dove ognuno si chiude nel proprio privato mentre lo Stato arretra, e con esso arretra anche la libertà.
L’Europa, intanto, monitora. Presto potrebbe legare i fondi europei al rispetto dello Stato di diritto. Ma attenzione: la vera perdita non sarà nei bilanci. Sarà nella coscienza collettiva.
Perderemo il diritto di dirci democratici.
Perderemo il diritto di ricordare chi siamo stati.
Il Manifesto di Ventotene ci chiedeva di «spezzare le catene della tirannide».
Oggi quelle catene sono fatte di propaganda, revisionismo e oblio.
Ma sono catene. E stanno stringendo.
Abbiamo bisogno di filosofia, di storia, di letteratura. Non per rifugiarci nel passato, ma per non ripetere i suoi errori. Perché, come diceva Umberto Eco, «chi dimentica il passato è condannato a riviverlo».
Oggi dobbiamo scegliere da che parte stare. E non è una scelta politica. È una scelta morale. Perché la Costituzione non è carta da riscrivere. Perche la libertà non è una concessione. È una responsabilità.
Dobbiamo scegliere di leggere, perché leggere è resistere.Scegliere di studiare, perché studiare è disinnescare l’ignoranza.Scegliere di ricordare, perché ricordare è combattere.
Oggi la posta in gioco è Ventotene.
Domani, potrebbe essere la libertà stessa.
E se non ci alziamo ora, domani sarà troppo tardi.Perché il problema non è se tornerà il fascismo.Il problema è che non saremo più in grado di riconoscerlo.
Siamo, testualmente, tra gli “smantlers”. Non è solo un avvertimento: è una diagnosi, lucida, impietosa. E a chi prova a minimizzare, a dire che “esagerazione non succederà mai”, vorrei ricordare le parole di Primo Levi: «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo».
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