di Daniela Piesco

Dietro la polemica accesa sul Manifesto di Ventotene non si nasconde soltanto un errore interpretativo. Si cela, piuttosto, un’abile strategia di distrazione politica. Giorgia Meloni, con il suo attacco frontale a quello che è uno dei testi fondativi del pensiero europeista moderno, non ha solo commesso una fallacia logica – il classico cherry-picking, ovvero l’estrapolazione selettiva di frasi decontestualizzate – ma ha anche giocato una partita tutta interna, finalizzata a compattare una coalizione sempre più frammentata sotto il vessillo di una polemica identitaria.

Meloni ha estratto dal Manifesto scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi quelle parti che più si prestavano ad alimentare la narrazione di un’Europa elitaria, tecnocratica, antidemocratica. Eppure, è sufficiente leggere per intero i brani citati per comprendere come il senso complessivo venga totalmente ribaltato. Gli autori non condannano la democrazia in quanto tale, ma mettono in guardia dai suoi limiti, limiti che nel primo Novecento avevano già aperto le porte ai totalitarismi. Non un rifiuto, dunque, ma un monito: riformare la democrazia per salvarla da sé stessa.

Invece, nell’Aula della Camera, si è preferita la semplificazione dello scontro, tra citazioni mozzate e indignazione a comando. I fischi e le urla contro Meloni, seppur comprensibili per chi ha a cuore il progetto europeo, rischiano di trasformare un documento storico in un totem intoccabile. Ma il Manifesto di Ventotene, come ogni testo figlio del proprio tempo, va letto con spirito critico, nel suo contesto, tenendo insieme ciò che oggi può essere superato e ciò che ancora ci parla con forza: un’idea di Europa unita, libera, solidale.

L’uscita di Meloni, però, non è un errore isolato o un inciampo retorico. È una mossa calcolata. In un momento in cui la sua maggioranza scricchiola sull’Europa, con Fratelli d’Italia in tensione con la Lega sui rapporti con i Conservatori e i Popolari, e con Forza Italia incerta sul futuro europeo, l’attacco al Manifesto serve a spostare l’attenzione. Non si parla più delle divisioni interne, ma di un testo del 1941. Non si discute dei programmi per le elezioni europee, ma delle radici ideologiche di una federazione che, nel bene o nel male, continua a segnare il nostro presente.

Meloni sa bene che l’unità della sua coalizione passa anche per la costruzione di nemici simbolici. E il Manifesto di Ventotene, trasformato da pietra miliare del pensiero europeista a presunto strumento di delegittimazione popolare, diventa il bersaglio perfetto. Una bandiera da sventolare per compattare le fila e occultare le crepe. Ma dietro il fumo delle parole, resta la sostanza: la sua coalizione è più divisa che mai, e il futuro europeo dell’Italia si gioca tra tattiche interne e una visione sempre più miope di ciò che l’Europa può ancora rappresentare.

“Non è l’Europa ad aver tradito i popoli, ma sono le classi dirigenti che la usano come scudo per coprire le proprie contraddizioni.”

Il Manifesto di Ventotene non è perfetto, ma ha il coraggio di pensare in grande. E oggi, di quel coraggio, ne avremmo un disperato bisogno.

pH Wikipedia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.