La recensione del Direttore Daniela Piesco
AMEDEO: Allora? Vuoi spiegarmi qual è il problema?
ANNA: Il problema è che non hai visto niente nei miei occhi.
AMEDEO: Non posso fare delle scelte artistiche personali? Devo sempre giustificare tutto?
ANNA: Hai detto che non li hai capiti. I miei occhi. Se non li hai capiti significa che non li hai letti. E io so perché non li hai letti. Perché non c’è dentro niente. Niente.
AMEDEO: Non è vero. Non volevo dire questo.
ANNA: Io sono una ragazzina. O meglio, è come se lo fossi. Faccio finta di essere una donna sposata e trasgressiva abituata al gran mondo ma non sono questo. Non è il mio vero ritratto. Da quando sono adolescente mi sforzo di creare una mitologia sulla mia vita. Perché tutti gli artisti devono averne una, no? Tu hai una vita così piena, così speciale. L’ebreo maledetto, il genio mediterraneo. Io non ho niente. Tu sei la prima vera cosa che sto vivendo. Prima c’era il vuoto.
Nel cuore della Belle Époque parigina, tra le ombre dei vicoli di Montmartre e le luci soffuse dei caffè artistici, Antonio Nobili fa rinascere un amore che appartiene ormai alla mitologia dell’anima: quello tra Anna Achmatova e Amedeo Modigliani. “Tu mi sognavi, io non dormivo” non è un semplice spettacolo, né una biografia mascherata da fiction, ma un atto poetico in sé, un canto struggente sull’amore, sull’arte e sulla disperazione del vivere, narrato con una lingua che sa essere lirica e tagliente, come un bacio rubato in una notte di pioggia.
Nobili riesce in un’impresa delicatissima: riportare in vita due icone senza scadere nell’agiografia o nella sterile ricostruzione storica. Anna, giovane poetessa russa ancora inconsapevole della grandezza che l’attende, e Amedeo, artista maledetto per vocazione e per destino, si muovono tra i venti della storia , lei destinata alla repressione sovietica, lui alle nebbie dell’autodistruzione , come due comete destinate a sfiorarsi e consumarsi.
Lo stralcio che ho scelto è un monologo struggente, quando la storia d’amore si trasforma in riflessione interiore. Le parole di Anna sembrano precipitare, ferire e illuminare insieme. La sua voce è un ruggito trattenuto, l’urlo silenzioso di una donna che sa di essere, ancora, solo una ragazzina, costretta a interpretare ruoli che non le appartengono. “Io sono una ragazzina, o meglio, è come se lo fossi” , questa ammissione disarma, perché restituisce alla Achmatova una fragilità che spesso la storia ha negato, cristallizzandola nel marmo della grande poetessa.
Il testo è costruito come un dialogo monco, dove l’interlocutore tace ,o forse non esiste , e tutto si svolge nel teatro interiore della protagonista. Il risentimento iniziale (“Non hai visto niente nei miei occhi”) si scioglie in confessione, in una nudità quasi infantile che scava sotto le apparenze. L’arte, la giustificazione, la mitologia personale , tutti i veli cadono. Resta solo il desiderio, quello più autentico: vivere qualcosa di vero, non un’idea di sé. L’amore per Modigliani, in questo senso, non è solo passione ma specchio, rivelazione, l’unica esperienza che non è finzione.
Nobili ambienta tutto questo in un’epoca che fu crocevia di rivoluzioni estetiche e personali. La Parigi del 1910 è un laboratorio dell’anima, dove il dolore diventa forma, la miseria si sublima in bellezza, e l’amore è sempre condannato a essere tragico perché troppo grande per la realtà. In questo senso, il testo di Nobili si fa erede di una tradizione letteraria che da D’Annunzio a Pirandello ha scavato nel doppio fondo dell’identità, ma lo fa con una voce nuova, moderna, intima, femminile nel miglior senso del termine.
“Tu mi sognavi, io non dormivo” è, infine, anche un titolo perfetto: parla di due anime mai veramente addormentate, sempre tese a cercarsi l’ una nel sogno dell’altro.
Non è importante se sia accaduto davvero, perché certe storie esistono al di là del tempo, sospese come sguardi che nessuno ha saputo leggere. “Tu mi sognavi, io non dormivo” è un inno alla verità che si cela nei silenzi, nei gesti mai giustificati, in quegli occhi che “non hai capito, e quindi non hai letto”. È il racconto di due anime che si sfiorano nel disordine della passione e della paura, che fingono di essere altro , un’artista maledetto, una donna “sposata, trasgressiva, abituata al gran mondo” ma che, nel profondo, sono solo due adolescenti dell’anima, affamate di autenticità.
E allora ci resta negli occhi quella voce che confessa: “Tu sei la prima vera cosa che sto vivendo”. Ed è in quell’ammissione, fragile e bruciante, che questo testo trova la sua forza più grande: ci costringe a ricordare che l’arte quando è autentica non illustra la vita, la crea.