di Antonio Corvino 

E l’internazionalismo non è più l’orizzonte del socialismo ma solo il brodo di coltura dell’iper capitalismo.

C’era una volta il socialismo che enunciava per bocca di Marx la necessità storica della proprietà pubblica dei mezzi di produzione in una prospettiva di liberazione dei lavoratori.
L’umanità tutta intera si sarebbe riappropriata del plusvalore fraudolentemente sottratto dai capitalisti e l’Internazionale Proletaria avrebbe creato le condizioni per ridurre, fino ad annullarla, l’alienazione delle catene di montaggio in favore della piena realizzazione di ciascuno dentro ad una collettività finalmente coesa.
Il filosofo Fourier aveva anche immaginato e addirittura descritto in anticipo le soluzioni architettoniche che avrebbero dovuto accogliere le libere aggregazioni proletarie. Esse avrebbero esaltato la dimensione comunitaria degli individui, esorcizzando le derive massificanti delle periferie metropolitane.

Il falansterio sarebbe stata l’unità abitativa aggregata ed aggregante che (nulla a che fare con i palazzoni moderni, presidi incattiviti e violenti di luoghi-non luoghi) avrebbe assicurato le basi per una vita sociale lontana dalle emarginazioni urbane.
Costruito come un grande monastero aperto al territorio circostante, esso si sarebbe configurato come una struttura ad U per assicurare una ottimale dislocazione delle famiglie, garantire l’intimità della vita privata e favorire il massimo dell’interazione sociale. Intorno ad esso si sarebbero organizzate le aree delle attività produttive, dei servizi e del “mercato” mentre negli spazi interni si sarebbero svolte le attività creative. Tutte le attività creative.
Ogni falansterio avrebbe ospitato dai quattro ai cinque mila abitanti ed avrebbe rappresentato l’unità di base delle aggregazioni superiori che così avrebbero combinato in armonia ordine e libertà.Le comunità nazionali si sarebbero riconosciute, avrebbe poi teorizzato Carl Marx, in un comune destino in grado di annullare ogni rischio di guerra e reciproca sopraffazione tracciando percorsi di sviluppo, benessere e progresso condivisi dal potere proletario internazionalmente integrato.

Prima che arrivasse il socialismo a correggerne o addirittura annullarne le storture, c’era stato il capitalismo, legato dapprima alla proprietà agraria e, successivamente, alla proprietà delle fabbriche. Queste, a loro volta, avevano prodotto il proletariato il quale, a differenza dei servi della gleba, prestava la propria opera in cambio di un salario ma soprattutto partecipando ai processi tecnologici che ne favorivano la progressiva emancipazione sia personale che collettiva.

Adam Smith diede dignità di scienza al capitalismo e David Ricardo teorizzò la coerenza internazionale della sua organizzazione.
Entrambi riconoscevano ai capitalisti la responsabilità-necessità di perseguire il progresso ai fini della crescita della ricchezza delle nazioni e l’avanzamento delle classi sociali.
Le aree metropolitane sarebbero state gli snodi della nuova organizzazione economico-produttiva affidata alla libera concorrenza. Questa avrebbe alimentato il progresso destinato, a sua volta, ad essere il motore dello sviluppo complessivo.
Il mercato sarebbe stato il regolatore supremo e l’incrocio della domanda e dell’offerta avrebbe determinato il costante equilibrio dei prezzi delle materie prime, del lavoro stesso, e dei beni, a partire da quelli di prima necessità.

La speculazione in tale visione veniva identificata come la febbre del capitalismo e come tale doveva essere combattuta ed eliminata in vista del ritorno al suo fisiologico libero funzionamento.
Lo Stato avrebbe assunto di conseguenza un ruolo di regolatore, creatore e custode delle migliori condizioni per un armonioso dispiegarsi delle forze in campo.La dimensione nazionale diventava il presupposto e la condizione di ogni successo.La cooperazione internazionale sarebbe stata assicurata in un quadro di specializzazione produttiva delle singole nazioni.
Ciascuna avrebbe spinto al massimo le proprie capacità produttive nel campo ad essa più congeniale, scambiando i propri prodotti con il resto del mondo.
Specializzazione produttiva nazionale e commercio internazionale avrebbero garantito la pace ed il progresso del mondo intanto che Capitalismo e Socialismo procedevano tra rivoluzioni industriali e rivoluzioni sociali.

Neocolonialismo ed imperialismo sarebbero sopraggiunti quali altrettante degenerazioni senili a colpire il capitalismo prima ed il socialismo nella sua forma collettivizzante dopo, sulla spinta della tendenza ad ampliare a dismisura i rispettivi domini e sfere di influenza, avendo dimenticato, il primo, il ruolo regolatore del mercato e il secondo la funzione rivoluzionaria dello Stato. Entrambi avendo rimosso il fine ultimo della ricchezza delle nazioni e della felicità dei popoli oltre che degli individui.Sarebbero arrivate le guerre a mistificare tutto e a far perdere di vista il virtuoso dispiegarsi del destino dell’umanità.

Nel ventesimo secolo, gli accordi post bellici di Yalta spartirono il mondo tra i vincitori, creando muri e barriere tra Est ed Ovest, tra Nord e Sud e segnando l’avvento della subdola contrapposizione tra capitalismo e comunismo, tra democrazie e dittature o autocrazie, divenuta guerra fredda.Gli accordi di Bretton Woods, dal canto loro, segnarono la prevaricazione della speculazione finanziaria sull’ordinato procedere del mercato.Tutto il resto, sino alle attualicontorsioni di popoli e governi che hanno annullato ogni distinzione o confine tra est ed ovest, tra nord e sud, democrazia e sovranismi, libertà e dittatura, cooperazione e sopraffazione fino alla dissoluzione della stessa idea di bene e male, é frutto degli effetti combinati e distorti di Yalta e di Bretton Woods.

La speculazione ha cessato di essere la malattia del mercato per diventare l’orizzonte comune del capitalismo e del comunismo, delle democrazie e delle autocrazie, in America ed in Russia, in Europa e in Cina, affermandosi in ogni luogo come grimaldello della generale reciproca sopraffazione.
Essa ha finito per identificarsi con il dominio della finanzia.L’ordine declinato dal capitalismo intorno al mercato non esiste ormai da molti decenni così come é deragliato qualsiasi percorso rivoluzionario del collettivismo di stato.
Su entrambi i fronti prevale la corsa ad appropriarsi di ogni genere di ricchezza, da quella quotata nelle borse e nelle valute, a quella depositata nelle risorse minerarie necessarie ad alimentare le nuove soluzioni energetiche, a spingere la supremazia tecnologica ed a garantire il controllo dello spazio in un delirio privo di freni.

In tale situazione vince chi ha una dimensione imperiale conclamata ed una capacità di distruzione convenzionale o nucleare che fa premio ( é il caso russo) anche sulla ( scarsa ) potenza economica.
Si spiega così, al di là delle contingenze elettorali americane o europee e delle derive dittatoriali dei regimi autocratici, l’arroganza della triade mondiale che, come un Cerbero mitologico, intende spartirsi e controllare il pianeta e lo spazio che lo avvolge.USA, RUSSIA e CINA non fanno mistero sulle loro intenzioni in proposito.
Tutte e tre sono accomunate dalla diffusione nei loro apparati della metastasi finanziaria che si manifesta nel potere di magnati, oligarchi e capitalisti di stato.

É difficile, in un contesto simile, immaginare scenari di ritorno all’ordine ed all’armonia.
Le stesse dispute tra capitalismo e socialismo appaiono addirittura antiche e viene il sospetto che vengano utilizzate per coprire il vuoto di idee e la mancanza di ogni volontà/capacità di osare che sta cancellando la storia umana per come sin qui l’abbiamo conosciuta.Addirittura patetici appaiono poi non solo i mea culpa sui falansteri traditi o sulle periferie urbane violente ma anche le nostalgie dei sistemi politici caratterizzati un tempo dalla proprietà pubblica o privata dei mezzi di produzione e dall’azione dello Stato più o meno forte tesa a mantenerne l’equilibrato dispiegarsi.
La confusione Europea è figlia del sorprendente deragliamento globale che rischia di travolgerla.
Rimasta come ultimo baluardo della vecchia democrazia, l’Europa ha subito solo in parte gli effetti della metastasi iper capitalista essendone rimasta addirittura esente almeno rispetto alla degenerazione più estrema che altrove ha prodotto l’avvento di interi gruppi di magnati ed oligarchi al potere.
La dialettica democratica è tuttora solida in essa e la disputa tra destra e sinistra, tra libertà e dittatura é ancora potente mentre appare ancora lontana la prospettiva di una prevaricazione sovranista o autocratica.
In realtà l’Europa ha vissuto sin qui in una bolla.La sua economia è rimasta abbarbicata su settori, produzioni, tecnologie e mercati divenuti marginali.
Da troppo tempo essa ha rinunciato ad avventurarsi sui territori di frontiera della tecnologia e della tecnica, della ricerca di nuovi orizzonti produttivi ed energetici finendo per divenire, suo malgrado, debitrice per essi verso gli USA mentre coltivava il suo ruolo di fornitrice di tecnologie in declino verso la Cina e finendo per ritrovarsi, a causa delle recrudescenze imperialiste russe, priva di fonti energetiche a buon mercato.
La scossa delle elezioni americane del novembre 2024 ha definitivamente mandato in frantumi il suo equilibrio rivelando per intero i ritardi accumulati. Primo fra tutti quello della mancata costruzione della sua identità sovranazionale nella forma, per dirla con Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, degli Stati Uniti d’Europa.
Il velo che la proteggeva è ormai definitivamente squarciato, il sonno interrotto, ed anche la bolla autoreferenziale si è dissolta.
Al punto in cui siamo non vi sono vie di mezzo. O si avvia un percorso coraggioso, al limite della temerarietà, che conduca rapidamente, e sia pure con un numero ridotto di protagonisti, al nuovo soggetto politico federale europeo o ci si rassegna alla diaspora con conseguente corsa di ciascuno alla corte di questa o quella testa del Cerbero.
Così l’utopia di Ventotene, lo si voglia o no, torna a rappresentare l’unico viatico per una Europa unita e, magari, finalmente libera da ogni deriva violenta, sovranista o dittatoriale che dir si voglia. E sarebbe un bel passo avanti per il mondo intero, non solo per il vecchio continente.

 

pH Pixabay senza royalty

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