Questa breve storia, totalmente frutto della mia fantasia e sviluppato in poche righe, ha come intento quello di raccontare una storia d’amore, sospesa e vissuta a migliaia di chilometri di distanza dai due protagonisti; ovvero Raphaelle e Luis. Luis è partito come ufficiale verso la sconfinata Russia, all’ombra della bandiera francese e sotto il comando di Napoleone Bonaparte. Raphaelle, a distanza di tre anni dall’inizio della rovinosa campagna militare, vive con estrema ma lacerante fiducia, l’attesa del giorno nel quale rivedrà il proprio amato varcare il cancello della villa, che li ha visti conoscersi e, anche se solo platonicamente, amarsi. Il terzo protagonista, a suo modo involontario, di questo breve racconto è un antenato* di colui che sarà destinato a divenire dapprima generale e poi il presidente transalpino più importante del novecento. Ed ecco, oltre a tentare di descrivere il più puro e ardente sentimento amoroso, ci troviamo di colpo immersi nelll’altro elemento che emerge da questa breve narrazione; la storia è una materia che innegabilmente è basata su avvenimenti importanti, qualsiasi evento giunto a noi e sul quale si scrivono parole, si studiano le gesta, se ne ricordano le date, si modellano e si scolpiscono statue equestri, è frutto di altri piccoli accadimenti fortuiti, quotidiani, ai nostri occhi marginali o secondari. Uno di questi, ad esempio, potrebbe essere l’effetto che una lettera scritta per una amata, destinata ahimé a non arrivare alla destinataria, dia linfa vitale e la consapevolezza necessaria per dare la forza di tentar di sopravvivere ad un altro combattente, cambiando cosi’, in qualche modo, il corso della storia europea moderna.
La giornata tersa, è minacciata sempre più dall’avvicinarsi di nuvole scure e gonfie di pioggia e, grazie alle loro sempre piu’ maestose dimensioni, pare quasi al mio orecchio di riuscire a sentirne il lamento, quasi come se esse siano dei giganteschi esseri viventi, pronti a sprigionare le proprie ire, su noi, inermi spettatori. Tanto fiere e rumoreggianti elle si presentano, da sembrare spiriti tronfi e orgogliosi del timore che riusciranno ad incutere, durante il loro bagnato e chiassoso passaggio,anche se ahimè solo alle anime più sensibili. La lama di luce che seguiva le dolci sagome delle colline nell’aurora al nascer del sol, piano piano viene divorata e quindi spenta, dalla mano scura che si poggia su quei dolci e docili colli. I tiepidi raggi di luce che hanno scaldato i miei pallidi zigomi nella giornata di ieri, quel bagliore, che ai piedi dell’olimpo gli antichi credevano fosse un dono di Apollo, non piu’ tardi di ieri poggiavano sui classici colori testimoni dell’arrivo della tanto attesa bella stagione. Le primule, dai colori pastello, di colpo sembran che abbian deciso di sospendere il loro brindisi alla primavera che aleggia nell’aria, ed il rosa, il giallo, il viola o il bianco vivace dei loro cinque petali, danno l’impressione di spegnersi sempre piu’, mano a mano che le lacrime di Giove si avvicinano a loro. Neanche il sordo brusio dei piccoli insetti, che danzavan festosi sui primi fiori aperti al cielo, contrasta oggi il borbottio delle tante gocce scure, che volan in cielo. Ad ogni modo, confido nel fatto che l’ombrellino che mi ripara da questi primi raggi primaverili,riuscirà a diventare il mio fragile scudo, contro le prime stille che scenderanno presto dal cielo. Spero che questa tesa e sottile stoffa cerata, riesca a salvare almeno un pochino la mia acconciatura e questo abito grazioso. I miei stivaletti calpestano i minuscoli frammenti di ghiaia bianca, ad ogni mio passo la suola affonda leggermente sul manto creato da questa distesa di piccoli e appuntiti frammenti di sasso, generando un sordo e secco rumore, ricorda lo stesso emesso dal lento incedere dei nostri piccoli piedi, mentre di soppiatto io e i miei piccoli cuginetti ci avvicinavamo a Pierre, il giardiniere proveniente dalla Provenza. Quotidianamente durante il suo pisolino pomeridiano, le nostre dita stringevano delle spighe di orzo, le quali accarezzavano delicatamente, quantomeno per noi, le piante dei suoi piedi. Povero Pierre, quanto sei stato caro con noi! Una volta che il nostro vociare era ormai riuscito nell’intento di far sì che i suoi sogni salutassero Morfeo, si alzava in piedi e facendo finta di essere adirato ci rincorreva in lungo ed in largo, arrivando a farci correre fino all’impiantito dell’ importante ingresso di casa.
– Se ti prendo piccola Raphaelle! Se ti prendo…
Il rigoglio della sorgente e il ricader continuo dei getti d’acqua, con il loro tenace ma quanto breve vigore, quasi a sfidar l’infinito cobalto sopra le nostre teste, fuoriescono da bianchi putti sorridenti e da statuarie vergini, quell’ imperterrito gioco d’acqua accompagna la morte e la rinascita continua della flora che mi attornia. I numerosi zampilli, vengono proiettati verso la volta celeste e dopo aver perso la battaglia contro la gravità, ricadono con allineati archi all’interno della grande fontana in marmo bianco, la quale è protagonista indiscussa di questo immenso giardino. D’un tratto, assorta in questo dolce e rumoroso silenzio, sento scandire il mio nome. Non capisco da che direzione arriva il Raphaelle che ho udito, tantoché credo addirittura che il dispettoso e irriverente Eolo, si sia preso gioco di me ed abbia evocato il mio nome sibilandolo nello stesso modo nel quale mi chiami tu, amore mio. Giro appena il mio capo e sento dei rivoli di capelli sfiorare le mie guance, evidentemente grazie alla brezza che mano a mano va a diventare vento, dal cappellino color violetta sono riuscite a sgattaiolare fuori delle indisciplinate ciocche di ricci. Il volto della domestica è fermo, ma non impassibile, delle piccole e quasi impercettibili rughe espressive, presenti al fianco ai suoi occhi neri come la notte, donano a ella un’ immagine ben più matura dei suoi venticinque anni.
– Siete voi che mi avete chiamata Tina?
– Si, Modemoiselle Raphaelle.
– Madame, Tina! Madame Raphaelle!
– Ma…
– Niente ma! Il mio Luis prima di partire per la sconfinata Russia, sotto il comando
dell’Imperatore Bonaparte, mi ha giurato il suo Amore e l’Iddio ne é testimone! Il Signore conosce l’ardore che ci lega e perdonerà il nostro peccato. Io sono sposata con il suo amore! Questo basta ad arrogarmi, il diritto, quantomeno platonico, di considerarmi sua moglie. Quindi, desidero e pretendo di essere chiamata Madame! E non fartelo ripetere ogni di. – Certo Madame Raphaelle, certo.
Le mani della domestica stringono forte il lembo del grembiule color crema, il quale cade sul modesto abito color cenere.
Da pochi giorni il nostro Imperatore è in esilio sull’italica isola toscana, dei seicentomila soldati arruolati nella Grande Armata, ne sono tornati centomila o poco piu’ e so che da un giorno all’altro, il mio Tenente di Cavalleria varcherà quel cancello e sussurrerà al vento, come pochi istanti or sono, ha fatto la mia domestica. Proseguo la mia camminata, tra fiori pronti a sbocciare e piccoli insetti che si appoggiano sui loro pistilli colorati. Poggio una mano sul bordo marmoreo della fontana, delle minuscole gocce d’acqua si posano dolcemente su me, ora, solo ora posso iniziare piangere, cosicché le mie lacrime si possano unire a loro, in questo strano ballo, che poi in fondo non è null’altro che la metafora della nostra esistenza.
Stancamente il braccio d’un tratto si appoggia al bordo della fontana e le dita della mia mano, ancora bagnate di lacrime, dapprima lambiscono, per poi cadere nella fredda acqua in essa contenuta. Ecco amor mio, le lacrime per tanto forti, ora dovranno capitolare a confronto di tutta questa acqua di vita. La nostra vita!
3 anni Prima…
Konigsberg, Prussia
Cara Marie Jeanne mia, negli ultimi mesi, la mia vita ha assunto un’unica tinta, perenne, continua, estenuante e lacerante. Il colore che dalle mie pupille penetra come un raggio diabolico e arriva a bucare costantemente i miei pensieri, è il bianco. Questo riflesso accecante, e quello che illumina i miei solitari pensieri, anche negli istanti nei quali i miei occhi chiederebbero caldi sogni e riposo. Il bianco che cade dal cielo, paradossalmente è lo stesso di quei fiocchi che da ragazzino aspettavamo impazienti, quella luccicante acqua gelata, modellata tra le nostre mani, rese rosse dal freddo e scagliate come innocue bombe, ed esplose sui volti di noi bambini della terra del Meuse. Questa immensa e sconfinata lastra di ghiaccio, adesso non è altro che morte. Francois, André, Jacques, Vincent, amici d’armi miei, tutte statue di ghiaccio e immobili e facenti parte del bianco infinito. Essi saranno testimoni del nostro sacrificio, finché il gelido strato di morte coprirà queste desolate e solitarie terre di Russia. Tra poco anche io, amore mio, anche io finiro’ col esalare qui, in questa glaciale e inospitale lembo di globo dimenticato da dio, il mio ultimo e non più ripetibile respiro. Prometto a te, mia cara, che se anche la mandibola oramai sarà in possesso dell’infinito inverno, anche sol col pensiero il tuo nome scandiro’ e come un sogno e si innalzerà verso il cielo infinito. L’amor che per te, è l’unica fiamma perenne che scalda il mio cuor in questo deserto di ghiaccio. Questa notte, in questa solitaria fuga da un destino ormai scritto, ho trovato riparo in una baracca di legno. Non vi ho trovato alcunché con cui cibarsi, ma solo delle gelide coperte ed un materasso di paglia. Ho provato, anche solo per un attimo, il desiderio di spostare il corpo del soldato sfigurato dal gelo e prender il suo posto, così da poter abbandonare questo freddo inferno, con un dolce e caldo sogno da dedicare a te. Mi fermai solo un poco pero’, soltanto il tempo di legger le parole scritte nel foglio, infatti, una pergamena stirata anch’essa dal gelo, era stretta tra le inamovibili dita di quella mano annerita dal gelo. Quel corpo steso e senza espressione alcuna, non era altro che lo specchio del mio prossimo futuro. Nel tentar di strappar la pergamena dalle falangi di quel pover ufficiale, serrate come ganasce di un mastino, un lembo è rimasto prigioniero di quelle immobili falangi, di quel corpo che ha amato. Per fortuna, la parte di carta ingrigita rimasta tra le mani di quel giovane innamorato, non è riuscita a nascondere ai miei occhi, e quindi al mio cuore, la passione che ardeva nel cuor di quel biondo soldato, per la sua Raphaelle.
Mia Raphaelle, scrivo queste poche parole su questo foglio ingiallito e con quel che rimane di questo rimasuglio di lapis. La Russia , la sconfinata terra degli Zar è alle nostre spalle e sotto il suo glaciale manto di ghiaccio e neve, riposano le urla e i lamenti di tanti miei compagni d’armi. Abbi pero’ la certezza, che questo mio corpo, questo cuore, queste braccia e queste gambe oramai immobili, non si sono sottratte neppure per un istante al dovere mio, verso tricolore francese ed il suo Imperatore, anche se, l’amor di patria mi obbliga a perire. Fierezza che vivo e sento in me, come soldato e come uomo. Un uomo che ama e amerà per l’eternità dei giorni del Signore, la sua donna, ovvero te, mia sposa. Questi piedi oramai bruciati dal gelo, che non sorreggono più il corpo mio, mai più trascineranno il mio cuore da te. Fin le falangi fatico a governare e mi scuso finora della pessima grafia, di queste parole sulle quali ahimè, dubito pioveranno mai le lacrime tue.
Cara Raphaelle, sto per morire. Mi par di sentire i tuoi passi, che affondano su quelle piccole ed infinite stelle di bianco pietrisco, e che fan da camminamento a quello che è il nostro luogo di sguardi, di amore, di desiderio reciproco. Il nostro giardino fiorito e la nostra romantica fontana, ove le nostre dita si sfioravano e i nostri sguardi, donavan l’un l’altro, l’ardore del nostro volersi. Muoio, sapendoti mia, ma mai avuta! Muoio, sapendoti mia, ma mai vissuta! Muoio, sapendoti mia, ma mai amata su un letto da lenzuola di lino. Lascio questo mondo e perdo te, amore mio. Non sai quante volte ho allungato le dita, sol per sfiorare l’acqua di rigogliosi ruscelli, che pian piano perdevano impeto, fino a divenire immobili sculture di morte e di freddo. Quante volte, ho sperato, che con quel gesto, sebben cosi’ distanti, in qualche modo l’acqua sarebbe riuscita ad ad unirci, come in un nuovo battesimo, il nostro.Quante volte, le mie lacrime si sono perse in quei fiumiciattoli e chissà se in qualche modo un giorno potranno raggiungerti. Ecco amor mio, le lacrime per tanto forti, ora dovranno capitolare a confronto di tutta questa acqua di vita. La nostra vita! É quel che ho sempre esclamato, pensando al tuo volto.
Per sempre tuo… Luis.
E questo è il motivo solenne del mio giuramento!
Mia cara e unica Louise Costance** , dopo aver letto il tormento di questo ufficiale e il suo amore conservato da questo eterno inverno, io giuro al cospetto dell’onnipotente, il quale mi ha trascinato in questo glaciale ed inferno terreno, che faro’ di tutto per riabbracciare te, mio unico, immenso e eterno amore.
Ero pronto a morire, ma in onore a Luis ed al suo amore per Raphaelle, passo dopo passo io torno da te da te.
Firmato
Il tuo Henri Honoré Joseph Maillot
*(Henri Honoré Joseph Maillot, nonno materno di Charles de Gaulle)
** (Louise Costance Kolb, nonna materna di Charles de Gaulle)
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