L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco
C’è qualcosa di profondamente marcio nella politica italiana, e non è solo al governo. È l’opposizione, quella che dovrebbe tenere alta la bandiera della responsabilità, che dovrebbe controllare, denunciare, proporre. Ma in Italia, l’opposizione si è ridotta a una caricatura di se stessa. Mentre il popolo arranca, i salari stagnano, le bollette soffocano e le imprese chiudono, Dario Franceschini pensa bene di proporre una legge per imporre il cognome materno ai figli. Il paese sprofonda, e loro discutono di anagrafe.
Siamo arrivati alla farsa. Una politica che si dice progressista e che vorrebbe “riparare” le ingiustizie storiche, finisce invece per partorire l’ennesima trovata ideologica senza alcun impatto reale sulla vita quotidiana delle persone. Anzi, finisce col dividere ancora di più, trasformando ogni atto legislativo in un campo di battaglia simbolico, dove il cittadino è solo un pretesto, un’ombra, un nome da modificare – appunto.
Franceschini e compagni ci raccontano che questa proposta è un gesto di civiltà. Ma la verità è che è un gesto di disperazione politica, uno spot da lanciare tra i salotti buoni e le redazioni amiche, mentre nei quartieri popolari si fa la fila alla Caritas. Altro che diritti. Qui si parla di fame. Di sopravvivenza. Di dignità calpestata.
L’opposizione italiana, sia essa targata PD o 5 Stelle, ha perso completamente la connessione con la realtà. Non vede più il paese, non ascolta le sue urla, non percepisce il vuoto che ha lasciato. E così facendo regala ogni giorno un pezzo di potere a chi sta al governo, troppo felice di non avere rivali credibili.
Ma attenzione: la colpa non è solo della sinistra. Anche la destra, quando si è trovata all’opposizione, ha giocato la stessa partita meschina. Bandierine ideologiche, slogan vuoti, guerre di civiltà. Nessuno parla di salari. Nessuno parla di sanità. Nessuno parla di futuro. Perché serve coraggio, visione, responsabilità. Qualità sconosciute ai cialtroni che affollano oggi i banchi del Parlamento.
Il popolo intanto guarda, soffre, si arrabbia. E smette di credere. Perché quando l’unica alternativa al disastro è una politica che litiga sui cognomi mentre le famiglie non arrivano a fine mese, la democrazia stessa entra in crisi.
Siamo governati da cialtroni e “opposti” da dilettanti. Un’opposizione che si occupa di sciocchezze mentre la gente muore di fame è più colpevole del governo stesso. Perché ha il dovere di svegliare le coscienze, non di anestetizzarle con simboli vuoti. Questa non è politica: è un insulto alla miseria. Una vergogna senza giustificazioni. E chi applaude a questa proposta è complice dell’ infamia
Parliamoci chiaro Franceschini sa benissimo quali sono le vere urgenze del Paese. Non è un ingenuo, né un politico di primo pelo. È stato ministro, parlamentare, dirigente di partito: conosce il livello della disoccupazione, il tracollo demografico, la povertà crescente, la crisi del welfare, la sanità al collasso. Eppure propone una legge sui cognomi. Perché?
La giustificazione, se vogliamo usare il termine, è politica. In un momento di vuoto di contenuti e di totale assenza di visione, una parte dell’opposizione cerca rifugio nei temi simbolici, quelli che fanno notizia, che possono essere rivendicati come “battaglie di civiltà” nei talk show o sui social. È il modo con cui si tenta di parlare a un pezzo di elettorato “progressista” senza mai dover affrontare davvero la complessità del Paese reale. In altre parole: è propaganda.
Proporre una legge così inutile quanto divisiva serve a costruirsi un’identità, a dire “noi siamo quelli moderni, quelli dei diritti”. Ma sono diritti di facciata, scollegati dal pane quotidiano della gente. Non incidono sulla vita reale, non risolvono alcun problema concreto. Servono solo a segnalare virtù e a fare un po’ di rumore.
Il risultato? Una politica che parla solo a se stessa e ai salotti, mentre nelle periferie cresce il rancore, l’astensione, l’alienazione. Ed è proprio da lì che, prima o poi, arriva la tempesta.
E no, non basta etichettare ogni critica come “reazionaria” o “conservatrice”. Mi hanno accusata più volte di essere di sinistra, e forse in parte e sottolineo in parte lo sono. Ma questa non è la mia sinistra. Questa è una sinistra stanca, sterile, che ha abbandonato la giustizia sociale per rincorrere feticci culturali. Da tutto ciò prendo abbondantemente le distanze. Perché se il popolo ha fame, tu non gli cambi il cognome. Gli dai dignità, lavoro, diritti veri.
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