La recensione del Direttore Daniela Piesco
C’è qualcosa di profondamente simbolico nell’uscita di TAMBURO, non solo per la sua carica espressiva, ma per ciò che rappresenta: un ritorno, un bilancio, un rilancio. A più di dieci anni dal primo singolo ufficiale, l’artista sceglie di non autocelebrarsi in modo banale, ma di rivendicare il proprio percorso attraverso un brano che suona come un manifesto identitario. TAMBURO non è nostalgia, è consapevolezza. È battito che non si è mai spento, ritmo che si è evoluto, voce che ha trovato nuove profondità senza perdere il graffio originario.
Dal punto di vista musicale, il pezzo affonda le radici nell’hip hop più crudo, contaminato da una produzione moderna, stratificata, che tiene insieme cassa dritta e richiami tribali. Il tamburo, appunto, è il cuore pulsante: archetipo ritmico ma anche simbolo di battaglia, di richiamo alle origini, di comunità. L’arrangiamento è essenziale ma non povero: ogni suono ha un peso specifico, nessuna scelta è casuale. Il beat non insegue mode ma costruisce un’atmosfera coerente con il testo: tesa, determinata, quasi rituale.
Sul fronte lirico, l’autore alza il livello con un testo asciutto ma carico di tensione emotiva. Nessuna rima superflua, nessun gioco di parole fine a sé stesso: ogni verso è un colpo, un’affermazione, una cicatrice che diventa medaglia. C’è un filo rosso che unisce l’urgenza del debutto con la maturità odierna: il bisogno di verità. L’artista non racconta una favola del riscatto, ma una cronaca della resistenza. Nessuna retorica del successo, solo la fierezza di chi è rimasto fedele alla propria visione.
Il video accompagna il brano con coerenza e forza visiva: luci fredde, ambientazioni urbane e tagli di montaggio serrati restituiscono l’energia ruvida del pezzo. L’immaginario è volutamente spoglio, diretto, senza filtri, in linea con la poetica di un artista che ha sempre messo l’urgenza espressiva davanti all’estetica. Ma proprio per questo, la potenza visiva colpisce: niente fronzoli, solo autenticità.
TAMBURO è, in definitiva, un’opera di dichiarazione. Una dichiarazione d’amore per il percorso artistico intrapreso, per le battaglie vinte e quelle ancora da combattere. Ma soprattutto è un richiamo, un suono che invita chi ascolta a non dimenticare da dove si è partiti. Non è solo un pezzo: è un testimone che passa di mano, un fuoco che continua a bruciare. Dopo dieci anni, quel battito non solo non si è spento — si è fatto più forte.
