L’ editoriale del direttore di Daniela Piesco
Viviamo in un’epoca in cui l’emergenza è diventata la norma. Dalla pandemia alla crisi energetica, dalle minacce terroristiche alla guerra in Ucraina, i governi e i media ci abituano a uno stato di allerta permanente. Ma cosa succede quando queste emergenze vengono costruite, amplificate o addirittura inventate per giustificare politiche più aggressive, maggior controllo sociale o nuove spese militari?
L’episodio del presunto drone russo avvistato sul Lago Maggiore, nei pressi del Centro di Ricerca di Ispra, è un caso emblematico. Un evento presentato come una minaccia diretta alla sicurezza nazionale, ma che, analizzato con spirito critico, rivela contraddizioni inquietanti. È davvero plausibile che la Russia abbia inviato un drone in missione di spionaggio sopra l’Italia? O siamo di fronte a un’altra operazione di propaganda bellica, utile a mantenere viva la paura del nemico russo e giustificare nuove misure di sicurezza, sanzioni o interventi militari?
La prima domanda da porsi è: perché la Russia dovrebbe spiare l’Italia con un drone? La narrativa dominante dipinge Mosca come una potenza aggressiva e espansionista, pronta a invadere l’Europa. Ma la storia recente mostra un quadro diverso. La Russia, fin dal crollo dell’URSS, ha cercato soprattutto di creare zone cuscinetto per proteggersi dalla NATO. L’Ucraina è l’esempio più chiaro: Mosca ha reagito militarmente solo quando Kiev ha minacciato di entrare nell’Alleanza Atlantica, avvicinando i missili occidentali ai suoi confini. L’idea che la Russia voglia attaccare l’Italia o altri Paesi europei è priva di fondamento strategico. Mosca non ha né le risorse né l’interesse a lanciare un’avventura militare suicida contro la NATO.
I media hanno descritto il drone come un velivolo sofisticato e pericoloso, capace di violare lo spazio aereo italiano senza essere rilevato. Ma questa versione presenta problemi evidenti. Un drone che parte dalla Russia dovrebbe volare per migliaia di chilometri senza essere intercettato dai radar NATO, il che è tecnicamente improbabile. Se invece fosse stato lanciato da un Paese vicino, come la Serbia o la Bielorussia, significherebbe che operatori russi sono penetrati in Europa senza essere scoperti, un’ipotesi ancora più grave ma di cui non ci sono prove. Inoltre, la Russia dispone di satelliti spia molto più efficaci per raccogliere informazioni. Mandare un drone rumoroso e visibile sarebbe controproducente per una vera operazione di intelligence.
Questo episodio rientra in un copione già visto. Si diffonde una notizia allarmante, si attribuisce la colpa alla Russia senza prove definitive e si chiedono più sanzioni, più armi, più controllo. È lo stesso meccanismo usato prima della guerra in Iraq, con le fantomatiche armi di distruzione di massa, o durante la crisi ucraina, con la retorica dell’invasione imminente dell’Europa. Ma chi ci guadagna? L’industria militare, perché più paura significa più soldi per le armi. I governi, perché una crisi esterna distrae dai problemi interni, come inflazione, recessione e malcontento sociale. E la NATO, che giustifica così la sua espansione e il suo budget.
Il rischio più grave non è il drone in sé, ma ciò che potrebbe seguire. Nella storia, molti conflitti sono iniziati con operazioni sotto falsa bandiera usate per manipolare l’opinione pubblica. Pensiamo al Golfo del Tonkin nel 1964, quando gli USA inventarono un attacco nordvietnamita per entrare in guerra, o alle armi di distruzione di massa in Iraq nel 2003, mai trovate ma utilizzate per giustificare l’invasione. Oggi, con le tensioni Russia-NATO ai massimi livelli, un incidente pilotato potrebbe scatenare una guerra più ampia. Basta un drone “misterioso”, un cyberattacco “anonimo” o un’esplosione “inspiegabile” attribuita a Mosca per far scattare una risposta militare.
Viviamo in un’epoca in cui la verità è la prima vittima della guerra. Il caso del drone russo in Italia è solo l’ultimo esempio di come le emergenze vengano strumentalizzate per creare consenso attorno a politiche pericolose. Cosa possiamo fare? Esigere prove concrete prima di credere a qualsiasi allarme, analizzare le fonti e chiedersi sempre chi trae vantaggio dalla diffusione di certe notizie. La Russia non è un angelo, ma non è neppure il mostro che ci dipingono. La vera minaccia è un sistema che usa la paura per controllarci.
Svegliamoci prima che sia troppo tardi.
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