Di Daniele Piro 

Siamo cresciuti con il mito della grande città: accogliente, sfarzosa, piena di vita e pronta a soddisfare ogni nostra esigenza. Piano piano le campagne, i paesi si sono svuotati; i terreni diventavano incolti e rimanevano gli scheletri vuoti di ciò che era stato il nostro passato. Mura di case silenziose oggi fanno capolino fra i ripidi pendii montani, negli avvallamenti delle morbide curve collinari e perfino in aperta pianura, come sentinelle a vegliare sul territorio circostante. Queste case antiche profumano di vita e di passato; muri spessi in mattone posate da mani esperte, tetti in pietra diventati rifugi per volatili, case a volte grandi, spesso piccole e quasi sempre al loro interno con un camino al centro della sala. Mostrano i segni del tempo, barcollano, con i vetri rotti o qualche buco nel tetto, le travi a vista mangiate dai tarli, qualche crepa e l’intonaco ormai sbiadito o mancante. Eppure hanno il loro fascino. Evocano ricordi e richiamano le gesta antiche di un tempo lento, silenzioso, fatto di piccoli gesti quotidiani, di famiglie raccolte intorno ad una tavola mentre il pentolone bolliva sul fuoco del camino acceso, di galline che correvano sull’aia o di cani sonnecchianti sull’uscio. Case abbandonate per andare ad abitare in metropoli fatte di in monolocali senza vita, in spazi angusti di condominii in cui i visi sconosciuti si incrociano e si fa fatica anche a dire ciao o buongiorno.
Ci hanno insegnato ad abbandonare le nostre case e i nostri campi per ricercare un posto di lavoro nelle grandi città. Ci siamo assuefatti al rumore dei clacson o della metro, alla mancanza di luce e di spazi verdi, ci siamo abituati al grigiume del cemento, al nero dell’asfalto ed alle notti mai buie fatte di insegne luminose, lampioni al led ovunque piuttosto che di stelle da guardare col naso all’insu’. Ma il fascino metropolitano in cui per strada si sente il profumo di soldi piano piano si sta sgretolando. La gente tra le strade desidera tornare a sentire il profumo di pane nel vicolo di fronte o del caffè fra gli androni dei palazzi. Vuole tronare a salutarsi e rispettarsi sorridendosi negli incroci tra le piccole strade. Quando sembravamo poveri, fra l’erba delle tante vie Gluk col tempo cementificate, in realtà avevamo tutto e non lo sapevamo. Sarebbe bello che si prendesse coscienza nel pensare che avevamo tutto e non lo sapevamo. Forse piano piano le nostre case chiuse o diroccate nei borghi montani o isolate fra i pendii collinari, vivranno una seconda gioventù, riacquisteranno colore e decoro; i nostri campi torneranno ad essere coltivati ed i frutti colti dagli alberi ripiantati. La semplicità era la nostra ricchezza. E non lo sapevamo.

Scugnizzo69

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