L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

Viviamo in un’epoca in cui la sostanza cede il passo all’apparenza. Il fenomeno Rita De Crescenzo non è che la punta dell’iceberg di una metamorfosi culturale e politica che ha trasformato profondamente il nostro modo di comunicare e di fare politica.

La democratizzazione della comunicazione attraverso i social media ha certamente dato voce a chi era stato a lungo ignorato. Ma questo processo ha portato con sé un effetto collaterale devastante: ha amplificato anche chi non ha nulla di significativo da dire. Il risultato? Un panorama informativo saturo di contenuti vacui che ottengono visibilità non per la loro qualità, ma per la loro capacità di generare reazioni immediate e viscerali.

La politica, invece di resistere a questa tendenza, l’ha abbracciata con entusiasmo. I governi degli ultimi cinquant’anni sembrano aver partecipato a una competizione perversa: chi riesce a semplificare maggiormente il proprio messaggio fino alla banalizzazione, senza essere scoperto nell’intento. Come ci ricorda il testo, “hanno vinto tutti” – una vittoria amara che rappresenta la sconfitta del pensiero critico.

Particolarmente allarmante è il passaggio di testimone tra attivisti di sostanza come Gino Strada, che organizzavano manifestazioni sulla base di esperienze vissute e competenze concrete, e gli influencer contemporanei che, pur privi di qualifiche o esperienze pertinenti, mobilitano milioni di persone con un semplice video. La nobiltà di certe cause, come l’opposizione alla guerra, viene così svuotata di significato, ridotta a un fenomeno di tendenza passeggero.

Ma la vera domanda che dovremmo porci è: chi trae vantaggio da questa situazione? Chi orchestra questi movimenti apparentemente spontanei? Il populismo contemporaneo funziona proprio così: sfrutta figure mediatiche come marionette, lasciando che catturino l’attenzione mentre i veri burattinai restano nell’ombra, accumulando potere e ricchezza.

Il pubblico, distratto dal rumore di fondo dei social, applaude lo spettacolo senza rendersi conto di essere parte di una rappresentazione orchestrata. Non vede che, mentre si diverte con contenuti superficiali, qualcuno sta incassando dividendi politici ed economici molto concreti.

È proprio questa la caratteristica più insidiosa del populismo contemporaneo: la sua capacità di mascherare interessi particolari dietro un’apparente ribellione contro l’establishment. Utilizza linguaggi semplificati, talvolta volgari, per simulare autenticità, mentre in realtà svuota il dibattito pubblico di ogni complessità e sfumatura.

Se vogliamo recuperare una dimensione politica autentica, dobbiamo ritrovare il coraggio di andare oltre i like, di privilegiare la riflessione sull’impulso, di preferire il ragionamento articolato allo slogan ad effetto. Solo così potremo smascherare i veri burattinai e restituire alla politica la sua funzione più nobile: quella di strumento per il bene comune, non palcoscenico per l’intrattenimento di massa.

 

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