La recensione del Direttore Daniela Piesco
Nel momento più oscuro della nostra Repubblica, quando l’eco dell’autoritarismo torna a farsi sentire tra le pieghe del linguaggio pubblico e nelle torsioni della legalità, Antonio Scurati ci consegna M. La fine e il principio, il capitolo conclusivo della sua monumentale epopea del fascismo. Ed è un libro che arriva come uno squillo di tromba, come un monito: non per ammonire con astratte prediche, ma per colpire nel vivo, per scuoterci con la forza narrativa della verità storica incarnata.
Scurati ci porta negli ultimi seicento giorni di Benito Mussolini, quando il dittatore, caduto nell’abisso della storia, si aggira come un’ombra tra le rovine morali e materiali di un’Italia in fiamme. Non c’è più il Duce del consenso oceanico, delle folle adoranti, della propaganda trionfale. C’è un uomo disfatto, prigioniero del lago, spettro di se stesso e della nazione che ha condotto al disastro. Il libro inizia con l’arresto e l’umiliazione, passa per la prigionia e l’illusione della Repubblica Sociale Italiana, e termina nella disfatta, nel sangue, nel corpo appeso a Piazzale Loreto: ma non si limita a narrare. Scava.
La narrazione si fa epica, ma senza mitologia. L’autore non cerca redenzioni né condanne semplicistiche: cerca l’umano, anche nell’abominio. È qui che la letteratura si trasforma in pietas, non indulgenza, ma sguardo lucido e profondo sulla catastrofe dell’identità italiana. Perché è nella caduta del tiranno che si misura il peso della sua ascesa. È nel silenzio che resta, dopo il rumore delle armi, che si sente ancora l’urlo del consenso, del servilismo, della complicità.
E in questo, M. La fine e il principio è più che un romanzo storico. È un’opera civile. È un’opera urgente.
Nel nostro presente, in cui si rilegittimano i simboli del fascismo, si revisiona la memoria, si sdoganano toni e metodi da regime, Scurati ci invita a guardarci nello specchio della nostra storia recente. Lì vediamo ciò che siamo stati, e ciò che potremmo tornare a essere, se l’indifferenza ci corrode. Perché i dittatori – ci ricorda – non hanno alternativa: o vincono o cadono. Ma i popoli che li seguono hanno sempre una scelta. E noi?
Mentre nel dibattito pubblico si accusa la Resistenza di essere “divisiva”, mentre si svuota la Costituzione delle sue promesse antifasciste, questo libro ci riporta all’essenza: la libertà non nasce dal nulla. È figlia della sconfitta di un uomo, di un regime, di un’ideologia che fece della violenza, dell’odio e della paura strumenti di governo. E quella libertà – oggi più che mai – va difesa, nutrita, rinnovata.
Scurati chiude con una galleria di epitaffi: morti, sopravvissuti, revenants. Ma il vero epitaffio è quello che ognuno di noi scrive, oggi, scegliendo da che parte stare. Perché il fascismo non è solo un evento storico: è una possibilità eterna. Ed è compito nostro non renderla di nuovo reale.
Questo libro non è solo da leggere. È da sentire. Da ricordare. Da trasmettere. Perché solo chi ricorda può ancora sperare di cambiare. E non commettere gli stessi, maledetti errori.