di Antonio Corvino 

Trump come Nixon? Il 2025come il 1971?
La fine del legame aureo del dollaro come ante fatto e termine di paragone dell’attuale accidentato percorso avviato da Trump contro il deficit commerciale degli Usa?
L’Europa bloccata, come se gli USA fossero il suo giardino di casa, incapace di inventarsi una strategia efficace di investimenti tecnologici e produttivi all’avanguardia per smuovere il suo mercato e farsi valere nel mondo?
La cooperazione con la Cina come approdo necessario di un’Europa incapace di muoversi sullo scenario mondiale con la necessaria rapidità e le decisioni giuste?
Yanis Varoufakis in una intervista televisiva alla BBC e in una serie di dichiarazioni alla stampa ha affrontato la questione Trump al di fuori dello stereotipo del governante narcisista, dittatore per intima frustrazione e fustigatore vendicativo dell’Europa per divertimento nonché nemico della Cina per disperazione/interesse.
Insomma al di fuori dell’uomo solo al comando che corre sulle montagne russe sicuro di non sfracellarsi ma di portare gli altri al tonfo.
Per l’ex ministro greco c’è una strategia nelle schizofreniche e apparentemente deliranti decisioni del Presidente USA.
Ne é convinto colui che ingaggiò una lotta senza quartiere con l’Unione Europea al tempo della Troika nel tentativo (inutile) di salvare il suo Paese dal fallimento e dalla speculazione ma che provò anche a dare delle dritte per rimettere sui giusti binari un’Europa formalmente ossessionata dai debiti del PIIGS ( Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia,Spagna) e dai loro deficit fuori controllo, sostanzialmente ( e biecamente) interessata a perpetuare lo strapotere finanziario ed il dominio industriale della Germania e dell’Europa nord atlantica al di fuori di ogni visione del futuro.
E sicuramente Yanis Varoufakis aveva visioni e conoscenza per misurarsi con simili missioni impossibili.
Il Sacrificio della Grecia non servì alla Grecia. Esso fu di avvertimento agli altri paesi in odor di Troika ma soprattutto perpetrò la svendita del suo patrimonio infrastrutturale, dagli aeroporti ai porti, oltre all’ impoverimento del suo patrimonio e tessuto sociale. Servì anche ad accelerare le privatizzazioni italiane peraltro già avviate abbondantemente alla fine degli anni’80 del secolo passato.
Non servì a rimettere sui giusti binari l’Unione Europea che continuò a giocare beatamente sui suoi surplus commerciali fatti di prodotti e tecnologie in via di superamento se non di estinzione nei confronti della Cina bulimicamente affamata di tecnologie e di conoscenza e nei confronti degli USA bulimicamente affamati di prodotti da consumare piuttosto che puntare a investimenti innovativi, mercato interno e nuovi mercati internazionali.
Conclusione, la Cina incamerava tecnologie e conoscenze, sviluppando un suo sistema di ricerca e sviluppo che puntava all’avanguardia ed al futuro proponendosi nel contempo come fabbrica a basso costo per il mondo intero, USA ed Europa in testa. Gli USA importavano prodotti ed esportavano servizi (delle cosiddetti big tech) creando un sistema fortemente squilibrato che finiva per premiare i grandi finanzieri proprietari delle stesse big tech prive di domicili fiscali e quindi impossibili da tassare al di fuori di accordi globali, esponendo il bilancio Statale ad un forte indebitamento cresciuto sino a sfiorare la cifra spaventosa di 40.000 miliardi di dollari.
Insomma il ragionamento di Varoufakis partendo da tale assioma giunge alla conclusione che, come la piccola Grecia, nemmeno il Mastodonte americano avrebbe potuto reggere.
E però il mastodonte americano, a differenza della Grecia, dispone del dollaro e si gioca la partita sul suo deprezzamento.
Deprezzandolo aumenterà la capacità competitiva sui mercati esteri, crescerà la convenienza ad investire negli Stati Uniti, diminuiranno le importazioni e cresceranno consumi e produzioni interne. I dazi e le minacce in uno con gli ammiccamenti mielosi o velenosi avrebbero fatto il resto e comunque avrebbero svolto solo un ruolo di complemento.
Non solo, sarebbero stati un ottimo balon d’essai per quanti, Europei in testa, si sarebbero trovati spiazzati e in preda al panico di veder diminuire le loro esportazioni e quindi i loro surplus commerciali a livello aggregato ed i fatturati a livello aziendale con conseguenti ricadute negative sui lavoratori e sul pil oltre che sull’equilibrio dei conti nazionali.
Una tempesta perfetta.
L’Europa guardava il dito mentre quello aveva in testa la luna. Costringere gli Europei a comprare dagli USA armi e gas necessari per armarsi, produrre e riscaldarsi, lasciare in pace le big tech e spostare gli investimenti delle (poche) grandi aziende europee in America. Insomma costringere al vassallaggio il vecchio continente eliminandolo dalla competizione globale e ingaggiare la lotta finale per la supremazia tecnologica e commerciale con la Cina.
E tutto questo riproponendo la lezione di Nixon.
Ossia la svalutazione del dollaro nel presupposto che esso resterà comunque il riferimento per gli scambi e le transazioni internazionali. Ma perché ciò succeda deve vincere la guerra commerciale con Europa e Cina.
Insomma Varoufakis accredita Trump di una strategia assai complessa e che richiede spregiudicatezza e lungimiranza ma anche solidità di nervi e chiarezza di idee sui molti e vari passaggi.
É fin troppo facile supporre che il ragionamento del professore Varoufakis abbia in questo caso prevalso sull’osservazione della realtà, accreditando il presidente americano di un piano sia pure istintivo, personale e privo di supporti esterni che persegue obiettivi di equilibrio generale basato sul dominio americano all’interno di una deriva sovranista, addirittura ammantata di misticismo messianico che, tuttavia, non disdegna il tornaconto per sé e per i suoi supporter, considerando genocidi, guerre e violenze solo incidenti obbligati da lui indipendenti oltre che indifferenti.
E tuttavia ha ragione da vendere Il professor Varoufakis a sostegno di tale prospettiva. Perché i processi in atto sono dotati di una loro forza intrinseca che li spinge in una direzione obbligata. E la direzione obbligata vede la Cina proiettata ad affermarsi come potenza globale, l’Europa in forte ritardo su molti piani, da quello della costruzione di istituzioni federali alla messa a punto di strumenti e politiche che ne rilancino il potenziale di soggetto, anch’essa di valore globale, gli USA a riaffermare il ruolo del dollaro quale moneta di riferimento mondiale, indebolendolo tuttavia per quanto necessario a rendere possibile il recupero di competitività interna ed internazionale.
E sta proprio qui il punto debole della eventuale e non dichiarata strategia americana.
Nel 1971, con le crisi energetiche mondiali connesse ad una costante fibrillazione dei produttori di petrolio, un’economia mondiale in forte cambiamento, l’emergere di nuovi protagonisti e la guerra fredda in pieno svolgimento, tutti fenomeni che stressavano il ruolo, la potenza ed i bilanci USA, la fine del regime di convertibilità del dollaro era addirittura ritenuta necessaria se non anche opportuna per allentare la rigidità di un vincolo che costringeva al collegamento oro e dollaro in un momento in cui i deficit di bilancio erano strategici.
In realtà nessuno mise in forse il ruolo del nuovo dollaro. La Cina era concentrata su sé stessa, l’India alle prese con una dimensione ancora primordiale, il Sud America in situazioni pressoché disastrose e la Russia alle prese con il controllo militare del suo impero che ignorava ogni prospettiva di sviluppo economico e democratico.
Oggi lo scenario è totalmente cambiato, anzi capovolto.
Un deprezzamento selvaggio del dollaro
in spregio a qualsiasi ipotesi di sostenibilità del suo ruolo nel recupero della produttività e competitività interna e nel contempo a garanzia dell’abnorme debito federale in parte rilevante in mano al mercato mondiale, Cina, Giappone, Canada, Regno Unito, Europa su tutti, rappresenta una scommessa ad alto tasso di incertezza.
Una guerra generalizzata rischia così di diventare una sorta di ultima chance che potrebbe scivolare pericolosamente in regolamenti di conti o soluzioni impreviste con la Cina che di certo non potrà soggiacere ad un qualsiasi ultimatum o diktat commerciale, avendo raggiunto, pur tra mille contraddizioni interne ancora in agguato, una potenza tecnologica ed industriale oltre che logistica che rende addirittura inarrestabile il suo ruolo di potenza globale al pari degli USA.
La Russia del dittatore Putin a sua volta gioca con Trump come il gatto con il topo, forte del suo legame indissolubile proprio con la Cina.
E certo L’India ed il resto del mondo non staranno a guardare non avendo più alcuna sudditanza nei confronti del Dollaro che anzi si trova nella difficile posizione di essere un po’ prigioniero ed ostaggio del mondo altro che deus ex machina di esso.
Resta il problema dell’Europa che è il vero elemento debole, una specie di incognita irrilevante, nell’equazione del nuovo equilibrio mondiale.
E qui, ancora una volta, ha ragione Varoufakis quando avverte che essa deve dialogare con la Cina.
Ed ha ragione ancora una volta il primo ministro spagnolo Sanchez che prende l’iniziativa e dopo aver predisposto una solida manovra a contrastare gli effetti della politica trumpiana sui dazi o sul deprezzamento del dollaro, va a dialogare con il governo cinese tracciando anche in questo caso la rotta possibile per l’intera Europa.
Non si tratta di stringere alleanze strategiche ed esclusive con un paese che, non bisogna mai dimenticarlo, si pone l’obiettivo di controllare il mondo o buona parte di esso tenendosi a guinzaglio la Russia, ma di giocare con essa da protagonista sullo scenario globale.
Per questo, come osserva lo stesso Varoufakis, l’Europa deve riorientare la bussola verso il futuro, finalmente, dotandosi di istituzioni comuni, il tesoro, appunto, l’innovazione e la ricerca, la sostenibilità sociale, il mercato interno e, certo, anche la difesa, una difesa attenta alla dimensione comunitaria, che non scivoli verso la dipendenza Usa, questa volta nell’acquisto delle armi e nell’alimentazione dell’industria bellica americana, dopo esservi abbondantemente scivolata quanto a eserciti, portaerei, aerei e così via.
La scommessa dell’Europa diventa fondamentale per il nuovo equilibrio mondiale e per mantenere acceso il faro della democrazia liberale, sociale, della separazione dei poteri, della cooperazione internazionale, del legame con la storia e la civiltà di questo continente. Per sé e per il mondo.
In questo quadro finiscono per essere gli USA di Trump e dei suoi oligarchi, magnati, big tech ad essere, al di là della forza intrinseca dei processi storici, la vera incognita nell’equazione che porterà a creare il nuovo equilibrio mondiale. Un equilibrio che non può prescindere dalla pace e dalla fine delle guerre, delle occupazioni, delle distruzioni, dei genocidi e che riconosca il diritto dei popoli.
Di tutti i popoli del Pianeta.

 

pH Pixabay senza royalty

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