Di Carlo di Stanislao 

“Il potere non è mai stato amico della verità.” – Michel Foucault

Mentre l’Italia arranca sotto il peso della stagnazione economica, della sfiducia crescente e di una società sempre più disillusa, il governo tenta di distrarre l’opinione pubblica con un’operazione di facciata: quaranta arresti ostentati come trofei nei telegiornali diventano l’ennesimo pretesto per giustificare un hotspot da oltre 800 milioni di euro, più una montagna di costi correnti per polizia, logistica e apparati. Un investimento sproporzionato e politicamente opaco, più utile a tenere viva la propaganda che a risolvere concretamente i problemi del Paese.

L’accordo con l’Albania, che nei fatti somiglia a una regalia più che a una strategia, mostra il volto di un esecutivo che usa la politica estera come paravento e i fondi pubblici come strumento di consenso. Intanto, nel cuore del Paese reale, da 25 mesi la crescita economica è ferma. Lavoratori impoveriti, salari stagnanti, pensioni al limite della sopravvivenza e una pressione fiscale insostenibile sono il quadro quotidiano per milioni di famiglie italiane.

A questo si aggiunge il circo delle grandi promesse irrealizzabili: un ponte sullo Stretto senza progetto esecutivo, senza un piano serio per la viabilità delle aree coinvolte, che oggi versano in condizioni da terzo mondo. Strade dissestate, collegamenti ferroviari inesistenti, territori abbandonati al dissesto idrogeologico: l’Italia che frana e allaga a ogni temporale resta fuori dai radar di un governo impegnato a vendere illusioni.

Le grandi crisi industriali rimangono irrisolte: Ilva e Alitalia sono simboli viventi dell’assenza di una visione strategica. Nessun piano industriale, nessuna prospettiva occupazionale, solo commissariamenti infiniti e miliardi buttati. La sanità pubblica è al collasso: personale ridotto all’osso, ospedali in sofferenza, accesso alle cure sempre più diseguale. La scuola non sta meglio: precariato cronico, strutture fatiscenti, docenti abbandonati.

E mentre l’Italia si smarrisce, la premier trova il tempo per volare negli Stati Uniti e inginocchiarsi politicamente davanti a Donald Trump, più confuso e schizoide che mai, in una mossa che ha tutto il sapore di una ricerca disperata di legittimazione internazionale. Una visita grottesca, tra prece e lumi, che ha più il tono del pellegrinaggio mediatico che dell’incontro tra statisti. Una leader in crisi che cerca rifugio da un leader in disfacimento.

Ma il vuoto non è solo del governo. L’opposizione, pur pronta a criticare ogni passo, non propone alternative credibili né piani concreti. Grida, polemizza, ma resta priva di visione, di coraggio e spesso di coerenza. I sindacati? In perenne ritardo, più interessati a mantenere equilibri interni che a difendere davvero i lavoratori. Confindustria non è da meno: quando non tace, balbetta. La voce delle imprese si è fatta flebile, accomodante, incapace di spingere verso riforme serie.

Nel frattempo, settori chiave come agricoltura, trasporti e turismo sono ostaggio delle lobby e dei corporativismi: gli agricoltori scendono in piazza, ma i provvedimenti sono tardivi o inconsistenti; la questione taxi è una telenovela infinita, con lo Stato ostaggio delle licenze; i balneari continuano a occupare le spiagge pubbliche senza gare né regole chiare, tra proroghe illegittime e silenzi compiacenti.

Così, mentre l’Italia vera sprofonda, la politica italiana – governo in testa, ma non solo – continua a recitare il copione stanco dell’apparenza. Non è solo inefficienza: è abdicazione. È l’incapacità di ascoltare, decidere, costruire. La crisi non è congiunturale: è sistemica. E il Paese, purtroppo, la sta pagando tutta.

 

pH Pixabay senza royalty

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