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L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

C’è un silenzio che grida.
Non ha voce, ma rimbomba dentro. È il silenzio che abita nello sguardo di Mahmoud Ajjour, nove anni, sopravvissuto a una guerra che non ha scelto, e che gli ha strappato non solo le braccia, ma anche l’infanzia, la spensieratezza, il diritto di essere solo un bambino.Samar Abu Elouf, fotoreporter di coraggio raro, ha fermato quell’istante. La sua fotografia, vincitrice del World Press Photo 2025, è più di uno scatto: è un documento morale, un’immagine che buca la coscienza collettiva, una lacerazione impressa nella luce.

Il volto di Mahmoud è accarezzato da un bagliore incerto. Un filo di luce che sembra voler dire: “Non tutto è perduto”. Ma i suoi occhi, profondi come ferite, smentiscono ogni illusione. Non c’è pianto, non c’è rabbia: c’è solo uno sguardo che racconta l’irraccontabile.
Le maniche vuote della sua maglia pendono come interrogativi lasciati in sospeso. Due lembi di tessuto che diventano simbolo di tutto ciò che gli è stato negato: la corsa, il gioco, l’abbraccio.Avrebbe dovuto stringere un aquilone, afferrare una matita, sbriciolare il pane con le mani. E invece deve imparare a bere con una cannuccia, da solo.

E mentre lui ricomincia da zero, noi celebriamo la Pasqua.Parliamo di resurrezione, di rinascita, di vita che vince sulla morte. Ma cosa significa davvero “risorgere” in un mondo dove i bambini vengono mutilati sotto le bombe?Che senso ha parlare di speranza, se quella speranza non sa attraversare il confine di una striscia di terra martoriata?

Non è retorica. Sono domande scomode urgenti, reali.

La Pasqua ,quella vera , dovrebbe essere un tempo in cui ci si chiede chi siamo di fronte alla sofferenza altrui e un tempo in cui la resurrezione non sia solo una parola liturgica, ma una scelta civile, politica, umana. La vera resurrezione non è un rito, ma un atto radicale. È scegliere di non accettare più l’ingiustizia come normale.È guardare il dolore, senza abbassare gli occhi.È capire che non c’è alcuna redenzione possibile se i bambini continuano a morire con il nostro silenzio complice.

Mahmoud non ha più le braccia. Ma noi sì.E possiamo usarle per scrivere, denunciare, lottare, proteggere.
Oppure possiamo tenerle in tasca.
O peggio: usarle solo per scrollare, per cambiare canale, per spegnere il pensiero.Ma una Pasqua che ignora il dolore dei bambini, è solo una festa vuota.E se accettiamo tutto questo senza reagire, senza indignarci, senza battere i pugni sul tavolo i veri mutilati siamo noi.

 

 

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