Di Carlo di Stanislao

“La prima vittima della guerra è la verità.” – Rudyard Kipling

Da anni Vladimir Putin è ritratto come l’arcinemico per eccellenza: dittatore, burattinaio, aggressore, spauracchio autoritario che minaccia l’ordine mondiale. Un’immagine che ha fatto comodo e continua a fare comodo a buona parte della stampa occidentale e ai governi che la alimentano. Ma siamo sicuri che questa narrazione rifletta tutta la verità? O forse stiamo assistendo a una delle più grandi operazioni di semplificazione ideologica del nostro tempo?

È indubbio che Putin sia un leader autoritario, responsabile di gravi repressioni interne e decisioni militari controverse. Ma ridurlo al “supercattivo” globale è non solo infantile, ma anche pericolosamente utile a una narrazione unilaterale che giustifica ogni mossa dell’Occidente. Così, mentre lui viene ritratto come il mostro, l’altro lato si dipinge come il difensore della democrazia, anche quando le sue azioni raccontano ben altro.

Il nemico perfetto

Putin è il cattivo ideale: parla poco, sorride meno, viene dal KGB e guida un paese dalle ambizioni imperiali. Ma soprattutto, si oppone apertamente all’egemonia americana e ai progetti di espansione della NATO. E questo, nel mondo bipolare post-’91, è un peccato capitale. Per l’Occidente, dipingerlo come minaccia esistenziale serve a tenere alto il livello di allerta, a giustificare spese militari record, a serrare i ranghi e – dettaglio non da poco – a non guardare troppo in casa propria.

Ogni società ha bisogno di un nemico, soprattutto quando fatica a spiegare le proprie contraddizioni. Putin è diventato il capro espiatorio ideale: se l’inflazione sale, è colpa di Putin; se l’energia costa di più, è colpa di Putin; se gli equilibri globali si rompono, la causa è sempre e solo lui. Non è forse una narrazione troppo comoda?

L’Ucraina, la NATO e le linee rosse

La questione ucraina è il cuore di tutto. L’invasione russa del 2022 è stata (giustamente) condannata da gran parte del mondo, ma raramente si parla delle sue motivazioni strategiche. Una su tutte: impedire la trasformazione dell’Ucraina in una base NATO a ridosso dei confini russi.

Dal punto di vista occidentale, l’espansione della NATO è stata letta come un processo di democratizzazione e libertà. Dal punto di vista russo, è stata un accerchiamento sistematico. Dopo la caduta dell’URSS, la NATO ha inglobato quasi tutti gli ex paesi del Patto di Varsavia, arrivando a pochi chilometri dalla Russia. Nonostante le rassicurazioni verbali date a Gorbaciov nel 1990 (“neanche un pollice verso est”), l’Alleanza si è allargata fino a includere Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e altri. L’Ucraina era l’ultimo tassello, la linea rossa da non oltrepassare.

Putin e i suoi generali temevano, e non senza ragioni, che una volta entrata nella NATO, l’Ucraina avrebbe ospitato armi puntate su Mosca, forse anche missili a medio raggio in grado di colpire il cuore della Russia in pochi minuti. Per chi conosce la storia della crisi dei missili di Cuba nel 1962, la situazione appare stranamente simile, ma con i ruoli invertiti. Allora furono gli USA a minacciare la guerra per impedire ai sovietici di piazzare testate a due passi dalla Florida. Oggi, la Russia ha reagito in modo simile davanti alla prospettiva di missili occidentali piazzati a 80 km dai propri confini.

Una guerra evitabile?

Molti analisti e diplomatici – da Henry Kissinger a George Kennan – avevano messo in guardia contro l’espansione NATO fino all’Ucraina. Avvertivano che avrebbe significato provocare la Russia e portare il continente sull’orlo di un conflitto. Ma le loro voci furono ignorate. Perché? Perché la logica geopolitica fu superata da interessi economici, dalla pressione delle lobby belliche, da un’ideologia dell’“esportazione della democrazia” spesso usata come scusa per operazioni di conquista.

Così siamo arrivati allo scontro, e oggi ci raccontano che la guerra è iniziata “senza motivo”. Come se la Russia, da un giorno all’altro, si fosse svegliata con il desiderio di invadere un paese fratello. Una lettura parziale, per non dire ipocrita. Le responsabilità russe esistono, ma non esistono nel vuoto.

Capire, non giustificare

Questo articolo non vuole difendere Putin. Non lo santifica, né nega le responsabilità del Cremlino. Ma invita a fare ciò che oggi sembra vietato: pensare. Guardare la storia con occhi più aperti, accettare che il mondo non è fatto di eroi da una parte e mostri dall’altra. Putin non è il supercattivo dei film Marvel, ma il prodotto – e al tempo stesso la reazione – di un ordine mondiale ipocrita e sbilanciato, dove le regole valgono solo per alcuni.

In un’epoca in cui l’informazione è spesso propaganda mascherata, esercitare il dubbio è l’atto più rivoluzionario. E forse anche il più necessario.

pH Pixabay

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