Di Letizia Ceroni 

Come ogni anno, arriva la Pasqua e si ripete la questione del pranzo pasquale, ne vogliamo parlare un po’?
Fin dai tempi antichi, la pastorizia, come l’allevamento di altri animali, è stata fonte di sostentamento, forse la più diffusa a causa dell’adattamento degli ovini a vivere in zone difficili per l’allevamento di altri animali.
La pecora è, come risaputo, l’animale mansueto per eccellenza ed essendo un erbivoro, quindi il menù principale per gli animali carnivori, è prolifica secondo l’equilibrio imposto da madre natura e anche per questo motivo, scelto come principale fonte di sostentamento di tribù nomadi o stabili.
Poi, siccome l’uomo fin dall’antichità ha avuto bisogno di un dio da adorare e a cui offrire doni per avere la sua benevolenza, la povera pecora e i poveri agnellini divennero il dono sacrificale per eccellenza e, siccome figliano due volte l’anno, quale migliore occasione per gustare la carne tenera di agnello, non solo per il rito religioso ma anche per tenere il numero del gregge sotto controllo?
In alcune religioni è diventato tradizione il consumo di carne d’agnello in occasione di festività, non solo nelle regioni mediorientali ma anche in Italia, anche se nel nostro paese, non era uguale dappertutto.
Ad esempio.
In Piemonte, mia regione d’origine, a Pasqua c’era la tradizione di mangiare la frittata, perché notoriamente, in primavera le galline diventano molto più riproduttive e le uova non si possono conservare per moltissimo tempo, del resto, così era per tutti i frutti della terra, nessuno si sarebbe mai sognato di poter mangiare le fragole a Natale, veniva consumata solo roba di stagione, al massimo portata da qualche altra regione.
In paese, il macellaio non aveva carne di agnello, si venne a conoscenza di questa tradizione solo quando arrivò la gente del sud per lavorare, basti pensare che non c’era nemmeno la pescheria e l’unico pesce consumato era quello pescato nel fiume o quello conservato che vendeva il pizzicagnolo.
Probabilmente nelle città si trovava molto più assortimento ma nei paesi era così.
In ogni caso, che si tratti di agnello o di uova, c’è di mezzo l’opportunismo umano nell’unire abbondanza e riti religiosi, del resto, non puoi fare una festa se non hai abbastanza materia prima per organizzarla.
Queste tradizioni si sono tramandare per moltissime generazioni, resistendo a guerre e carestie finché il genere umano non ha costruito il consumismo, una delle armi letali contro la natura.
L’agnello divenne sempre più richiesto e le uova divennero di cioccolato con la “sorpresa” all’interno.
Maggior richiesta significa maggiore produzione e fonte di guadagno per il pastore.
La mia generazione ha vissuto il boom economico e l’evoluzione del consumismo quindi, si ritrova a fare i conti con la tradizione, quando c’era un equilibrio e nessuno si faceva sensi di colpa, e con lo spreco del consumismo sfrenato che non ha più rispetto per nulla.
Ora si va da un estremo all’altro, fino ad arrivare a colpevolizzare chi resta legato alle tradizioni.
Mettiamoci, ad esempio, per un attimo nei panni di un pastore il cui sostentamento è sempre il gregge ma con parametri molto diversi.
L’allevamento non è più quello dei nonni e bisnonni, ora ci sono regole su regole e richiede molte spese, per mantenere un gregge di molti capi, a volte non basta il pascolo e si deve integrare con il mangime, i capi devono essere vaccinati e richiedono cura, gli animali non vanno in ferie, devono essere assistiti ogni giorno dell’anno.
Se hai cento capi che mettono al mondo un agnello per capo, te ne ritrovi duecento e che fai? Li tieni tutti? Li devi mantenere fino alla stagione successiva quando diventeranno quattrocento, e così via? Anche uno sciocco capirebbe che non è fattibile, quindi, una volta tenuto il numero per mantenere l’equilibrio del gregge, gli altri agnelli vengono venduti, anche se comunque, al pastore non vengono certo pagati come li paghi tu al banco.
La pecora non produce una quantità di latte paragonabile alla mucca e non lo produce tutto l’anno, quindi, anche la produzione di formaggi, altra forma di guadagno per il pastore, è in quantità limitata e il latte venduto ai caseifici viene pagato una fesseria.
Non è un lavoro facile e va rispettato.
L’abbondanza causa la nascita degli eccessi, capisco che ora che c’è cibo per ogni gusto e di ogni qualità, si possa fare la scelta di non seguire le tradizioni, che sia moda o scelta fatta per coscienza personale, ognuno è libero di fare ciò che vuole o che si sente di fare ma non ha alcun diritto di demonizzare tradizioni e scelte altrui, considerando che le tradizioni sono nate quando non c’era abbastanza abbondanza da poter diventare spreco.
Non è chi, per tradizione, cucina un agnello a Pasqua che deve essere considerato un insensibile barbaro senza cuore ma è lo spreco che si sta facendo di ogni cosa, compreso l’abnorme sterminio di animali ; quello da condannare, è la società moderna dei consumi che richiede tutto questo.
Quindi, sediamoci a tavola senza colpevolizzarci o senza puntare il dito sulle scelte altrui e godiamoci del privilegio di poterci nutrire come vogliamo e permetterci pure di fare capricci sull’etica, mentre ci sono esseri umani che non hanno nemmeno il minimo per poter sopravvivere.
Buona Pasqua a tutti.

Ph  Antonello Cocco Lampis

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